sabato 7 maggio 2011

FUTURISMO E FILOSOFIA

Appagato scrivo finalmente: «In principio era l’Azione»”1

Faust, Johann Wolfgang Goethe

Un movimento artistico porta sempre latente in sé una visione del mondo e dunque una sua “filosofia” che può essere messa in relazione a sistemi filosofici più o meno contemporanei. In particolare il Futurismo sembra programmaticamente aver voluto anticipare l’esplicitazione della sua interpretazione della realtà alla produzione di opere d’arte nelle quali essa si andrà manifestando.

La nascita del Futurismo voluta da Filippo Tommaso Marinetti, avviene a Parigi, capitale della cultura e dell’arte europee, dove circolavano le correnti di pensiero più avanzate del periodo. La scelta non è ovviamente casuale: Marinetti si proponeva di lanciare il nuovo movimento italiano di fronte a un pubblico attento, culturalmente e artisticamente all’avanguardia. La formazione di Marinetti avvenuta a Parigi, e dunque le premesse del Futurismo stesso, vanno rintracciate nel clima simbolista e decadente di fine secolo, del quale il movimento reca tracce evidenti, anche se sarà Marinetti stesso a disconoscere queste radici proprio nel 1909 quando pubblica Tuons le clair del lune!, “rifiuto più diretto e dichiarato della poesia simbolista e decadente, del dannunzianesimo, di ogni sentimentalismo… il rifiuto, dunque, di tutte le radici della propria poetica”2.

Il Manifesto del Futurismo aveva già dichiarato la lontananza dalla suddette premesse nel febbraio dello stesso anno:

“Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio e gettiamoci, come frutti pimentati d’orgoglio, entro la bocca immensa e torta del vento!...Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo!

[…] vogliamo cantare l’amore del pericolo […] il coraggio […] esaltare il movimento aggressivo […] Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità […]

Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione”3.

In realtà, come afferma De Micheli, in realtà Marinetti stesso non si libererà mai da un certo decadentismo, presente ancora nelle pagine del Manifesto del 1909, nella descrizione dell’ambiente nel quale prende vita l’idea stessa del manifesto, sotto “lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato stellate come le nostre anime”, su “opulenti tappeti orientali”4.

Tuttavia le primissime dichiarazioni espresse nel Manifesto del Futurismo, pubblicato a Parigi su Le Figaro il 20 febbraio 1909, manifestano, in una mirabile sintesi, i motivi ispiratori del movimento: rifiuto della saggezza e amore per l’ignoto, che non può che portare con sé il rischio e quindi l’amore per il pericolo; distruzione del passato, in particolare della sua arte, in quanto considerato morto, per l’affermazione di una bellezza mai esistita prima, in una tensione verso un futuro radicalmente nuovo; accento posto sulla sensibilità più che sulla razionalità e quindi tendenza all’irrazionalismo; volontà di creazione violenta espressa in maniera immediata attraverso l’azione.

L’indirizzo esplicito è verso le filosofie dell’azione e sarà proprio attraverso un’azione prorompente che si svilupperà il movimento del quale saranno emblema le famose “serate” - progettate con il proposito di provocare pesantemente il perbenismo borghese, di scuotere l’opinione pubblica italiana dal torpore - o le manifestazioni stupefacenti, come il lancio nel 1910 di volantini-manifesto dalla torre dell’orologio di Venezia, o le tante affermazioni presenti nei vari scritti che accompagnano la nascita e lo sviluppo del movimento stesso. E sarà ancora l’esaltazione dell’azione a portare i componenti del movimento a posizioni interventiste nella prima guerra mondiale, con la famigerata dichiarazione di Marinetti che considera la guerra “sola igiene del mondo”5.

Maurizio Calvesi, pur dichiarando di non volere, “ a scanso di classificazioni schematiche, assumere che il dinamismo sia la sostanza del Futurismo”, afferma che “è certo che il dinamismo fu l’aspetto preminente e più caratterizzante del futurismo”6 stesso; e, anche se ritiene più calzanti le definizioni di Apollinaire di “antitradizione” o di “antipassatismo”, non può negare che le invettive contro il passato e la tradizione fossero indirizzate esattamente contro l’immobilismo a essi connaturato.

Il leitmotiv dell’azione che sottostà a molte dichiarazioni futuriste sembrerebbe trovare il suo riferimento più diretto nel Pragmatismo americano che, come indica Mario De Micheli, fu, attraverso la “traduzione” fatta da Papini, “un vero e proprio appello alla «necessità dell’avventura»”. Così “il pragmatismo diventava un’altra delle componenti del clima culturale dell’epoca, e specificatamente anche del futurismo, insieme con l’anarchismo, il sorellismo, il nietzschismo, il positivismo e l’idealismo” 7.

Tuttavia, pur essendo il Pragmatismo americano una filosofia dell’azione8, ci sembra di potere rilevare uno scarto tra tale impostazione di pensiero e l’dea di attività propria del Futurismo. Nel Pragmatismo l’azione umana è indirizzata a distinguere il vero dal falso perché la verità porta a risultati utili sul piano pratico:

Lasciate che io vi ricordi come il possesso di un vero pensiero significhi in ogni caso il possesso di un inestimabile strumento di azione e come il nostro dovere di raggiungere la verità… possa spiegarsi con degli eccellenti motivi pratici […] Il possesso della verità, lungi dall’essere un fine, è soltanto un mezzo per altre soddisfazioni vitali9.

Non è riscontrabile nel Futurismo l’idea di un agire per un risultato legato all’utile, si tratta piuttosto di una tensione verso il progresso, verso una rigenerazione totale dell’uomo nel desiderio di creare una società nuova proiettata verso il futuro, sostenuta da un inesauribile dinamismo. Si evidenzia chiaramente nel Futurismo un sostrato che potremmo definire idealista completamente assente nel Pragmatismo americano e che analizzeremo più avanti.

Tra i riferimenti filosofici presenti nel primo e unico movimento di avanguardia artistica nell’Italia dell’inizio del Novecento il più palese, e forse anche il più ambiguo, è quello legato al pensiero Friedrich Nietzsche che ha indubbiamente esercitato una notevole influenza su tutta la cultura europea del tempo e dunque anche sul Futurismo (basti pensare che tra le opere di Luigi Russolo compare un Nietzsche del 1910, purtroppo disperso).

Anche la filosofia di Nietzsche può in qualche modo essere definita una filosofia dell’azione: “Non esiste alcun «essere» al di sotto del fare, dell’agire, del divenire […] il fare è tutto10.

E di Nietzsche certamente i futuristi conoscono i principali testi. Nietzschiano è, come è stato più volte evidenziato, il tono di fondo della scrittura di Martinetti e di altri teorici del movimento, ma non solo. Alcuni scritti del filosofo tedesco potrebbero molto facilmente essere confusi con dichiarazioni dei futuristi:

Perché – credete a me! – il segreto per raccogliere dall’esistenza la fecondità più grande e il diletto più grande, si esprime così: vivere pericolosamente! Costruite le vostre città sul Vesuvio! Spedite le vostre navi in mari inesplorati! Vivete in guerra con i vostri simili e con voi stessi! Siate predatori e conquistatori finché non potrete essere dominatori e padroni, voi uomini della conoscenza! Passerà presto il tempo in cui potevate contentarvi di vivere rimpiattati come timidi cervi nei boschi! Finalmente la conoscenza tenderà la mano verso ciò che le è dovuto – vorrà signoreggiare e possedere, e voi con essa!11.

Basterebbe sostituire alla parola “conoscenza” il termine “progresso” per poter fare di questo testo un brano di un manifesto futurista.

Il concetto di attività si esprime nel pensiero di Nietzsche come volontà di potenza12, affermazione dell’Io originario, contro ogni tradizione, morale, religione, contro ogni forma di omologazione al precostituito. La “volontà inesausta e creatrice della vita”13 è espressione dell’uomo finalmente libero e padrone del proprio destino, capace di affermare la propria prospettiva nel mondo; “Il mondo venuto dall’interno, il mondo determinato e qualificato secondo il suo «carattere intelligibile» - sarebbe appunto «volontà di potenza» e nient’altro che questa.”14.

La frase finale del Manifesto del Futurismo non ci sembra molto lontana da una concezione dell’attività come nietzschiana volontà di potenza:

Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle15.

Non condividiamo pienamente la visione di Pontus Hulten secondo la quale il rapporto del Futurismo “con Nietzsche non va oltre una generica acquisizione della pars destruens della sua filosofia” 16, per cui il riferimento al filosofo tedesco sarebbe soltanto di superficie e fondamentalmente riferito allo Zarathustra. Ci sembra venga qui sottovalutato proprio il possibile nesso con l’idea di volontà di potenza che è in Nietzsche “l’essenza della vita”, “l’attività nel senso proprio”, contrapposta alla passività dell’adattamento degli individui mediocri, “… la priorità di principio di forze spontanee, aggressive, sormontanti, capaci di nuove interpretazioni, di nuove direzioni e plasmazioni.”17.

Andrebbe anche approfondito il problema del rapporto con la classicità nel pensiero di Nietzsche. La nostalgia nietzschiana per l’antichità presocratica va interpretata come feroce critica alla razionalità. Nietzsche afferma che lo spirito presocratico era, in sostanza, intriso di spirito dionisiaco. Dioniso incarna la festa, il baccanale, il caos, l'istintualità primordiale, la sensualità. Dunque la Grecia pre-socratica, la Grecia della tragedia - di quella forma d'arte in cui l'uomo ha il coraggio di affrontare la vita per ciò che è - è per Nietzsche il luogo dello spirito vitale ancora non corrotto dal razionalismo socratico. Il pensiero occidentale, da Socrate in poi, fonda le sue argomentazioni sul logos, sull'esclusivo uso della ragione, affermando il predominio dello spirito apollineo, che si rifà alle qualità proprie del dio Apollo, dio dell'armonia e dell'equilibrio, della razionalità, appunto. Lo spirito apollineo cristallizza quindi tutte le forze irrazionali entro una legge di armonia, che intende il mondo come costruzione ordinata, negandone il lato irrazionale e imprevedibile che è, al contrario, per Nietzsche valore autenticamente originario, valore che costituisce il culmine del possibile percorso umano. Per Nietzsche è decadenza tutto ciò che limita e sminuisce l'apporto dell'irrazionale e della forza vitale a esso connaturata. Questa esaltazione della forza vitale nietzschianamente intesa è in parte rintracciabile nel Futurismo, anche se vi è una discordanza tra le due impostazioni nel modo di considerare l’irrazionale: in Nietzsche prevale un’idea di caos in cui sono presenti forze istintuali contraddittorie, mentre l’irrazionale futurista sembra essere emergenza di forze totalmente positive, tutte tese alla creazione del nuovo.

Il parallelo più calzante tra le due impostazioni di pensiero è dunque riscontrabile nell’idea di dinamismo come qualità prima dell’esistenza. Per Nietzsche l'autentico e originario movimento della vita è il divenire, mosso dalla volontà di potenza tutto il resto è menzogna; la vita umana va liberata dagli ostacoli che impediscono all'impulso vitale di fluire pieno e impetuoso nell'uomo. Con il divenire, in Nietzsche, viene tuttavia accettato in toto ogni aspetto della vita: il tragico e il lieto, la vita e la morte, la produzione e l'annientamento. Ma è esattamente questo aspetto che probabilmente porta Marinetti a definire decadente il pensiero nietzschiano.

Nel Futurismo è, al contrario, rintracciabile una sorta di ricerca di verginità nel rapporto con il mondo che implica un atteggiamento di totale fiducia nel progresso. Come evidenzia Jacopo Recupero18, il primitivismo al quale avevano fatto appello alcuni movimenti di avanguardia19, si era espresso come ricerca nostalgica di un dimensione di purezza perduta e ricercata, forse un po’ artificialmente, attraverso il mito del viaggio nei paesi esotici nell’aspirazione a una purezza non corrotta dall’ipocrisia, dalla mediocrità e dal conservatorismo della società borghese del tempo. Potremmo dire che nel Futurismo, lontanissimo da questa nostalgica idea di ricerca di una dimensione primigenia in paesi esotici non toccati dalla civiltà, il primitivismo viene attualizzato e vissuto, non rimpianto. Su questo tema torna più volte Boccioni nella Conferenza di Roma del 29 maggio 1911, La pittura futurista:

“…tutti giurano per un’èra cristiana e negano che sia nata un’èra scientifica. […] Negano che le scoperte scientifiche abbiano completamente rifatto il tessuto mentale del mondo, che sia avvenuto un cambiamento radicale del nostro spirito e per le stesse ragioni che le mutate condizioni di esistenza moltiplicano la forma e la struttura e il carattere dell’animale, così l’elettricità e la telegrafia, il vapore e l’aviazione abbiano prodotta una diversità psichica molto più profonda tra noi e i nostri nonni che tra questi e per esempio, il secolo di Aristotile. È dunque la convinzione che il nostro tempo inizia un’èra nuova che ci fa chiamare «i primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata!»”20.

La scienza ha cambiato completamente il mondo e primitivo diviene l’uomo moderno che, in una sorta di palingenesi, si pone nei confronti della nuova èra aperta dalla macchina come poteva porsi l’uomo preistorico di fronte ai fenomeni naturali: la giungla primordiale nella quale muoversi liberi e felici è la frenetica, iperattiva città moderna, il suo ritmo vorticoso scandito dalla macchina, la sua velocità; il ruggito delle belve che la abita è nel rumore assordante degli ingranaggi delle potenti macchine al lavoro, che non suscita terrore ma esalta la vita stessa.

“…tutta la vita sociale del nostro tempo ci mostra l’assoluto predominio di una incertezza primitiva che all’occhio profondo del pensatore – che trascura le piccole deviazioni particolari – appare come l’alba di una radiosa giornata storica!21.

Niente di più lontano dal sistema filosofico nietzschiano di questo sentimento di assoluta meraviglia di fronte alla nuova èra scientifica. E ancora:

…ogni epoca ha i suoi primitivi, …se noi vogliamo partire in guerra contro la barbarie superiore della cultura, dobbiamo contrapporle il primitivismo superiore di una intuizione moderna22.

Un altro aspetto potrebbe, tuttavia, accostare il Futurismo al pensiero di Nietzsche ed è la feroce critica operata dal filosofo nei confronti del Cristianesimo, accusato di avere prodotto “un animale da gregge, qualcosa di condiscendente, di malaticcio e di mediocre, l’europeo di oggi…”23. Anche l’anticlericalismo futurista era legato alla battaglia aperta contro la mediocrità dell’abbandono della lotta, “contro l’infame religione della rinuncia e delle lacrime che ha per simbolo deprimente l’uomo in croce”24. L’idea del sacrificio del Cristo, visto come rappresentazione della rinuncia alla lotta, contro cui si lanciano i futuristi non è evidentemente così lontana dall’impostazione nietzschiana: “Posto che si potesse percorrere con lo sguardo sarcastico e indifferente di un dio di Epicureo la commedia prodigiosamente dolorosa e tanto grossolana quanto sottile del cristianesimo europeo, io credo che non si finirebbe di stupirci e di ridere: non sembra infatti che per diciotto secoli abbia dominato in Europa la sola volontà di trasformare l’uomo in sublime aborto?”25.

Ma il Futurismo unisce alla critica al cristianesimo un profondo ottimismo nel confronti del presente:

“Chi non trova la propria soddisfazione nelle nuove concezioni filosofiche della vita, guarda dietro di sé, e rimpiange la Chiesa e i Dogmi e il ferreo sentimento religioso”26

Il pensiero nietzschiano avversa, al contrario, radicalmente il Positivismo e tutte le correnti filosofiche materialiste, Socialismo compreso. Su questo punto la distanza dei futuristi si fa decisamente evidente: la loro esaltazione della modernità si può certamente far risalire a una concezione positivista del progresso, anche se impregnata di idealismo.

Palesemente lontana e impossibile da conciliare con il termine stesso di futurismo è poi l’idea dell’eterno ritorno che allontana da Nietzsche qualsiasi mito del Moderno proprio del Futurismo, visto come affermazione di un progresso inarrestabile e positivo e di un tempo che si svolge lungo una linea retta inarrestabile.

Non condivisibile era, di conseguenza, per i futuristi la condanna nietzschiana della civiltà industriale considerata dal filosofo “la più volgare forma di esistenza che si sia mai avuta fino a oggi”27.

Il biasimo dell’idea di Superuomo da parte di Marinetti, da lui considerato “un cadavere”, può essere ben compreso se consideriamo da un lato la difficoltà intrinseca di lettura dell’opera complessiva del filosofo - e in particolare dello Zarathustra, nel quale è “annunciata”, appunto, la venuta del Super-uomo - dall’altro la sostanziale visione pessimistica della concezione di una umanità presente considerata semplicemente come un “ponte e non uno scopo… un passaggio e un tramonto28.

Effettivamente il maggior contributo di Nietzsche al pensiero contemporaneo è nella distruzione della morale del passato e non nella proposta di una nuova realizzabile visione del futuro, che è al contrario il fine fondamentale del Futurismo. Tuttavia, al di là delle divergenze di visione, crediamo che non vada sottovalutato l’apporto della filosofia nietzschiana assorbito dal Futurismo legato all’idea di attività e al concetto di volontà di potenza, ma anche al pensiero di un’azione irrazionale, che trapela da molte pagine del filosofo, tesa a distruggere una cultura occidentale che, da Socrate in poi, con il trionfo della razionalità e l’annullamento del dionisiaco-irrazionale, ha creato il prevalere del conformismo, “la menzogna della civiltà che si atteggia a unica realtà”29.

In realtà è estremamente complesso racchiudere il pensiero di Nietzsche in uno schema stabile per poi verificarne la congruità con il pensiero futurista poiché molteplici sono i temi presenti nella sua filosofia. Non è possibile rintracciare in essa un percorso lineare: ciascun tema viene declinato nel tempo in modi diversi e a volte anche contraddittori, fino a sfociare, nell’ultima fase della sua vita, in un discorso mistico e di difficile comprensione anche per i più raffinati interpreti del suo pensiero. Non va poi sottovalutata anche la mancanza di una costruzione di pensiero statica e razionale, contro la quale, tra l’altro, Nietzsche stesso avanza le sue più aspre critiche al pensiero filosofico occidentale.

Particolarmente interessante ci è sembrato il suggerimento di Hulten di tentare la ricerca di un possibile riferimento filosofico in Immanuel Hermann Fichte, primo rappresentante dell’idealismo tedesco, nel cui sistema teorico l’attività ha un ruolo primario: è il processo attraverso il quale l’Io conosce se stesso. “L’Io futurista è atto di se stesso, agire suo proprio […]. L’universo fenomenico è il puro “non” dell’egoità; al proprio non l’Io si contrappone incessantemente: la sua azione mira a produrre qualcosa di totalmente ideale, e cioè totalmente libero dall’inerzia e gravità dell’universo fenomenico”30.

È probabilmente utile per il presente lavoro tentare di riassumere brevemente la filosofia del fondatore dell’idealismo tedesco per poterne estrarre gli elementi necessari all’eventuale confronto.

La scienza della ragione è basata da Fichte su tre principi: il momento della tesi nel quale l’Io pone se stesso assolutamente; quello dell’antitesi nel quale l’Io assoluto oppone a se stesso un Non-io altrettanto assoluto; il terzo momento della sintesi nel quale nell’Io assoluto, l’Io divisibile si oppone al Non-io altrettanto divisibile. Nella sintesi si estrinseca l’attività dell’Io come “urto” con il Non-io che dà luogo all’immaginazione produttiva e fonda la relazione soggetto-oggetto. Il mondo si genera e si organizza in fenomeni sulla base di una attività dell’Io. Nella coscienza comune il mondo è già dato, ma in realtà esso è prodotto dall’immaginazione produttiva non cosciente dell’Io. L’immaginazione produttiva è vera e propria produzione del contenuto empirico della conoscenza, il quale appare come "dato" alla coscienza, e quindi indipendente da essa, soltanto perché l' immaginazione è produzione inconsapevole.

L’attività dell’Io della tesi è “sforzo […] indeterminatezza, cecità, assenza di scopo oggettivo; ciò dipende appunto dalla sua assolutezza […] una simile attività non può mai di per se stessa risultare produttiva, ma lo diventa solo quando si applica a un oggetto: questo incontro tra la soggettività come sforzo, tendenza, autoliberazione, e la realtà è assolutamente contingente […] metaforizzabile solo come “urto” […] Tra lo sforzo e l’urto intercorre un rapporto molto stretto: il primo investe il secondo, la sua attività gli si riflette contro e quindi la realtà così urtata si manifesta, si scopre, viene a essere fenomeno”31. Conoscere questo processo significa riflettere su di esso e riconoscere che il mondo è un prodotto dell’Io; significa liberare l’uomo dall’idea di una realtà precostituita, data oggettivamente. Vuol dire porre l’attività dell’individuo come creatrice del mondo stesso: l’uomo, grazie a essa, non è più prigioniero della realtà, ma suo demiurgo. La conoscenza diventa liberazione attraverso fasi successive: dal sentimento alla credenza fino all’aspirazione “in cui la coscienza realizza la propria attività… come realizzazione nel mondo della propria tendenza alla libertà come autonomia del volere”32. Nell’infinita aspirazione morale l’uomo sperimenta l’assoluto, senza tuttavia mai raggiungerlo pienamente, pena la soppressione della dialettica della vita: “L’assoluto esiste solo laddove il finito, cioè la concreta esistenza umana, è posta, ed è reale solo come pensiero, coscienza, azione, esigenza dell’uomo”33.

I termini stessi della dialettica fichtiana possono presagire il linguaggio futurista: lo “sforzo”, l’“urto” inevitabile, fanno pensare al tema della violenza con la quale si impone l’agire del nuovo uomo futurista. Si manifesta così un possibile collegamento del Futurismo con il pensiero del fondatore dell’idealismo tedesco, al di là dell’apparente contraddizione con quanto detto finora e cioè che il movimento artistico in questione è sostanzialmente ricollegabile a filosofie dell’azione. In realtà anche nel sistema filosofico fichtiano l’azione ha un ruolo centrale: è attraverso essa, in quanto immaginazione produttiva, che l’individuo crea il mondo fenomenico. Anche se il rapporto con Fichte appare in contrasto con l’esaltazione del progresso e del suo simbolo più evidente, la macchina. Esaltazione che porta necessariamente al collegamento con il Positivismo. Ma il mito futurista del progresso, e con esso della modernità, della scienza, della macchina, non è in realtà direttamente riconducibile alla concezione positivista dell’evoluzione della storia dell’uomo. Sarebbe necessario, se non fosse un ossimoro, creare un nuovo termine per definire l’ideologia di fondo del Futurismo, quello di “idealismo positivista” o meglio di “positivismo idealista”: la modernità è vista come mitico riscatto dell’individuo dalla mediocrità del conservatorismo delle tante tradizioni del passato, come ricerca di un assoluto in cui si realizzi la totalità dell’individuo. Non vi è dunque molta distanza dall’idea fichtiana di un Io concepito come azione in atto.

Da Fiche in poi la filosofia moderna assume come uno dei suoi temi centrali proprio l’attività creatrice dello spirito nel tentativo di superare la dicotomia soggetto-oggetto. E il nuovo individuo futurista si rivela come puro agire su un mondo che si mostra come essenziale negazione dell’individuo stesso; contro tale mondo si scaglia la forza prorompente dell’azione che, nell’esaltazione della velocità, della modernità, della macchina, aspira alla produzione di qualcosa di ideale, come se volesse liberare la materia stessa dalla sua inerzia e staticità.

La stessa idea di linea-forza, che, come vedremo più avanti, verrà formulata da Boccioni, è espressione della tensione propria di ogni oggetto e sembra suggerire un’idea di smaterializzazione della materia stessa per rintracciare in essa la sola pura idealità.

Il futurista per il quale è più calzante il riferimento al Positivismo è forse Giacomo Balla, il più anziano dei cinque firmatari dei manifesti sulla pittura. La sua ricerca, iniziata sull’onda del Divisionismo, grazie anche al rapporto con Polizza da Volpedo, e sulla scorta della passione per la fotografia trasmessagli da padre, va verso gli aspetti scientifici della rappresentazione, verso una obiettività che lo porta a interessarsi “ai fenomeni della scienza (i raggi Röntgen, per esempio, di cui è notizia nei taccuini); è l’obiettività che lo spinge (stavo per dire: lo costringe) a lasciare l’apparenza per la sostanza del vero”34.

Ma, più che con il Positivismo ottocentesco, il rapporto si instaura con le nuove teorie scientifiche che tra Ottocento e Novecento danno luogo a una vera e propria rivoluzione con conseguenze non soltanto sul pensiero filosofico, ma su tutta la cultura del tempo. Indubbio è il rapporto del Futurismo con la scienza e con le sue grandi trasformazioni teoriche, analizzeremo tuttavia questo aspetto in maniera più approfondita affrontando in maniera più dettagliata le realizzazioni artistiche del Futurismo, nelle quali esso si manifesta in maniera palese. Ricordiamo per il momento le tante affermazioni presenti in tutti gli scritti futuristi che inneggiano al progresso annunciato dalle scoperte scientifiche e dalle innovazioni della tecnica, a cominciare dal primo manifesto nel quale emblematicamente Marinetti afferma che “il Tempo e lo Spazio morirono ieri”.

Dalla critica all’idealismo tedesco prende le mosse il neoidealismo che ha i suoi rappresentanti in Italia in Benedetto Croce e Giovanni Gentile. È in particolare nell’attualismo di Gentile che è possibile forse trovare un collegamento con l’idea di attività propria del movimento artistico italiano. Le opere fondamentali di Gentile vengono pubblicate proprio negli anni in cui si sviluppa il Futurismo e, anche se non sono emersi a oggi contatti diretti, è probabile che nell’ambiente culturale in cui il movimento si sviluppa le idee del filosofo italiano circolassero

Anche per Gentile il pensiero non è considerato statico e passivo, ma dinamico: il pensiero è atto e il divenire è il processo stesso del pensiero. La realtà è creazione del pensiero in atto: “Proprio perché non ha nulla fuori di sé, il pensiero attuale è il ‘creatore’ della realtà”35, esso è quindi libero, nuovo, imprevedibile, a esso va ascritta la possibilità di una creazione incessante.

Altro riferimento evidenziato da più critici è con le riflessioni di Georges Sorel che esercitò particolare fascino in Italia36 nel periodo in cui si sviluppò il Futurismo. La teoria futurista della violenza viene desunta chiaramente da Sorel “di cui era stato tradotto, nel 1906, a Roma «Lo sciopero generale e la violenza» - nel quale, peraltro, il concetto di violenza è esclusivamente e dolorosamente strumentale (…). Di qui il mito della guerra, «sola igiene del mondo», il patriottismo, l’irredentismo… in cui si innesta un umore anarcoide di marca nichilista, che la successiva politicizzazione distorcerà”37. Anche per Sorel la realtà dell'uomo si riduce all'azione: un'azione che scaturisce spontaneamente dalla libera volontà. A tale scopo occorre che nella coscienza umana sia presente un complesso di immagini in grado di agire sull'istinto, sprigionando in questo modo l'azione. A questo complesso di immagini spontanee e istintive Sorel dà il nome di mito. Benché entrambi rivolti alla prassi futura, il mito si definisce attraverso la sua contrapposizione all'utopia: mentre quest'ultima è una rappresentazione intellettuale che può essere razionalmente esaminata e discussa, e che quindi non ha un effetto pratico dirompente, il mito è espressione immediata per immagini della volontà che attende di tradursi in azione. Il mito è a-logico e irrazionale e per questo capace di rappresentare la fluidità della realtà e di divenire la forza propulsiva dell’azione.

Sorel propone una giustificazione della violenza, intesa però non come forza impiegata con calcolo razionale per ottenere risultati specifici, ma piuttosto come un bergsoniano38 slancio vitale creatore che sprigiona energie in attesa di manifestazione: la violenza è la condizione e il mezzo per l'istituzione di forme via via più alte di organizzazione. Di qui il carattere profondamente etico della violenza, che assolve una funzione di liberazione e di creazione.

Il pensiero di Sorel si caratterizza inoltre per una feroce critica antiborghese: la borghesia si accontenta della propria mediocrità ed è attirata solo dalla vita comoda e dal denaro; il parlamento è il tipico luogo politico della borghesia, è utile solo al mantenimento dello status quo, e vi si palesa quel chiacchiericcio vuoto che è tipico dell’essenza borghese.

Sia il tema della giustificazione della violenza che le critiche rivolte alla borghesia collimano perfettamente con le dichiarazioni dei futuristi.

Le riflessioni di Sorel sono particolarmente calzanti soprattutto se si pensa all’ambiente storico-culturale in cui nasce il Futurismo, il suo radicamento nelle tematiche sociali dell’Italia del tempo, evidente già dal primo manifesto in cui si cantano “le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla sommossa…”39. Più tardi queste premesse verranno smentite e l’esaltazione del progresso e della modernità allontanerà il gruppo dalle tematiche socialisteggianti e antiborghesi, portandolo ad appoggiare la borghesia industriale e guerrafondaia del Nord del paese.

Il rapporto più rilevante del Futurismo è, senza dubbio, con la filosofia di Henri Bergson, rapporto diretto poiché nel 1910 G. Papini traduce in italiano Introduction à la métaphysique del filosofo francese. Severini poi, a diretto contatto con l’ambiente parigino, potrebbe essere stato un tramite più o meno consapevole di idee che vagavano nell’atmosfera culturale della capitale francese. Certamente, come vedremo più avanti, le teorie di Bergson hanno grande rilievo nelle considerazioni teoriche di Boccioni che forse ebbe un primo contatto con le teorie bergsoniane nel suo primo viaggio a Parigi nel 1906, prima di recarsi in Russia.

Per quel che riguarda Marinetti, nella sua formazione parigina egli è indubbiamente venuto a contatto con le idee di Bergson, basti pensare ai riferimenti all’intuizione presenti nei suoi scritti, nei quali essa viene chiaramente opposta all’intelligenza discorsiva, più vicina alla contemplazione e dunque lontanissima dal modo di accostarsi al mondo proposto dal Futurismo.

Tuttavia, come sottolinea Calvesi, “il concetto marinettiano dell’intuizione andava oltre la posizione bergsoniana, giacché le proposte marinettiane di ‘libertà’ e superamento della ‘logica’ puntavano con decisione ai domini dell’‘ignoto’, dell’‘assurdo’, dell’‘irreale’, dell’‘astratto’, dell’‘incosciente’, del ‘subcosciente’”40. Un’intuizione che in alcuni punti del suo discorso diventa intuizione inconscia pre-surrealista: “Per intuizione, intendo… uno stato del pensiero quasi interamente intuitivo e incosciente”41.

Leggiamo un brano del Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912 per comprendere quanto Marinetti spinga gli stessi poeti futuristi ad andare verso un tipo di creazione che presagisce la scrittura Dada e surrealista:

“Voi tutti poeti futuristi, foste come frenetici costruttori di immagini e coraggiosi esploratori d’analogie. Ma le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite dal piombo della logica. Io vi consiglio d’allegerirle, perché il vostro gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più vasto… Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Essere compresi non è necessario…”42.

Ill riferimento al non cosciente in Marinetti e nel Futurismo è, tuttavia, a nostro avviso, piuttosto lontano dal senso dato ad esso dal Surrealismo, movimento legato a una concezione freudiana dell’inconscio, vista anche la maggiore penetrazione del pensiero di Freud nell’ambiente parigino degli anni trenta. Il riferimento a Freud è esplicito in Breton:

“Un œuvre ne peut être tenue pour surréaliste qu’autent que l’artiste s’est efforcé d’atteindre le champ psychophysique total (dont le champ de conscience n’est qu’une faible partie). Freud a montré qu’à cette profondeur abissale regnent l’absence de contradiction, la mobilité de invertissements émotifs dus au refoulement, l’intemporalité et le remplacement de la réalité extérieure par la réalité psychique, soumise au seul principe du plaisir. L’automatisme conduit à cette ragion en droite ligne.”43.

Distante dal Futurismo ci sembra l’idea di una sostituzione della realtà esteriore con una realtà interiore sottomessa al solo principio del piacere come scopo dell’arte. A ben guardare l’impostazione teorica del futurismo appare legata a una concezione dell’irrazionale diversa dal freudismo: l’irrazionale, l’a-logico è per i futuristi portatore di forza, dinamismo, attività, positività. Non sembra esserci l’idea di un inconscio naturalmente perverso, tipica del freudismo stesso. D’altro canto, come evidenzia Arnold Hauser, i surrealisti

“adottano il metodo psicanalitico dell’associazione libera, cioè dello sviluppo automatico dei pensieri, delle idee e della loro riproduzione senza alcuna censura razionale, morale, estetica… perché credono di aver trovato così una ricetta per restaurare la buona, vecchia ispirazione romantica. Finiscono così per tornare alla razionalizzazione dell’irrazionale e del metodo imposto alla spontaneità. Si tratta però di un metodo incomparabilmente più pedante, dogmatico e rigido di quello propriamente artistico”44.

È vero che in Italia il freudismo avrà penetrazione tardiva, ma si tratta evidentemente di una differente impostazione di ricerca. La libertà, il superamento della logica a cui aspira il Futurismo sembrano far riferimento più apertamente a un’esigenza di ribellione alla mediocrità del pensiero razionale dominante per una tendenza più ideale, attraverso una spinta alla ricerca di forze irrazionali sì, ma positive e nient’affatto senza scopo che distruggano lo status quo. L’irrazionale futurista si scaglia provocatoriamente contro le regole stabilite dalla tradizione e dal passato alla ricerca di una libertà da ogni genere di regola. Probabilmente, se il discorso freudiano fosse giunto in Italia non sarebbe stato facilmente accettato dai futuristi proprio per il suo schematismo razionale e per il suo essere, in fondo, ancora un pensiero ottocentesco, legato cioè da un lato a una logica positivista e dall’altro all’idea di un’oscurità insondabile e perversa presente nel profondo dell’individuo di matrice decadente.

Più diretto è il collegamento con il movimento Dada che accoglie e porta alle più radicali conseguenze molti degli spunti futuristi, primo fra tutti il rifiuto per qualsiasi passato codificato per “la confusion des catégories esthétiques comme un des moyens les plus efficaces de donner du jeu à ce rigide édifice de l’art”, “pour le mouvement continuel et la spontanéité”, come afferma Tristan Tzara con affermazioni non lontane da quelle di Marinetti che nel Manifesto tecnico della letteratura futurista auspicava una combinazione di tutte le arti in una immediatezza di esecuzione che presagisce Arp, nelle sue composizioni del tutto casuali. Le spinte verso l’irrazionale e l’ a-logico, che nel Futurismo avevano ancora uno scopo positivo – distruggere un sistema di espressione e comunicazione codificato per crearne uno completamente nuovo, al passo con la velocità e l’essenzialità della modernità – in Dada divengono puramente negative: “un tratto particolarmente significativo in tal senso fu appunto l’ostinata volontà di sottrarsi a qualsiasi forma di identificazione «positiva»”45. È vero che il Dadaismo sfocerà poi nel Surrealismo, ma sarebbe più esatto dire che, con il primo Manifeste Surrealiste del 1924, verrà cancellata la spinta spontaneistica, irrazionale e assolutamente a-logica che, nata dal Futurismo e sfociata nel Dadaismo, veniva razionalizzata attraverso fondamenti teorici e metodologici. Come afferma Henri Béhar, la pratica del Dadaismo si può sintetizzare come “relativismo generalizzato, scacco di ogni dogmatismo, di ogni valore spirituale o sociale, della logica, della morale, di Freud e di Hegel, del cubismo e del futurismo”46. Alla tendenza al negativismo del Dada non è ovviamente estranea la linea di separazione storica creata dalla prima guerra mondiale.

Tornando a Bergson, palesemente vicino al suo pensiero è il vitalismo intrinseco del movimento, la sua aspirazione a lanciarsi violentemente nella vita che trova il suo più diretto riferimento nell’élan vital: “Lo slancio di vita di cui parliamo consiste, in sostanza, in un’esigenza di creazione. Esso non può creare in modo assoluto, perché incontra davanti a sé la materia, cioè il movimento opposto al proprio; ma esso si impadronisce di questa materia, che è pura necessità, e tende a introdurre in essa la maggior somma possibile d’indeterminazione e di libertà”47.

La filosofia di Bergson, come vedremo, è il riferimento più appropriato soprattutto se analizziamo la produzione artistica del Futurismo nella quale trovano riscontro i concetti di durata, compenetrazione, simultaneità, linee forza.

Analizzando gli influssi o le possibili correlazioni tra il pensiero filosofico e il Futurismo riscontriamo la presenza di figure a un primo sguardo contraddittorie tra loro, ma a ben vedere tra la filosofia di Bergson, Nietzsche e Fichte possono essere rilevati collegamenti abbastanza profondi. Uno dei temi portanti della filosofia contemporanea è

...il rifiuto di ogni forma immutabile e di ogni verità definita che pretendano costituirsi al di sopra o all’interno del divenire […] e tale struttura è presente anche nel pensiero di Enrico Bergson, la cui convergenza col pensiero di Nietzsche è molto più profonda di quanto sembri a prima vista”48.

Anche l’idea bergsoniana di una immobilità creata dall’intelligenza discorsiva per poter agire e conoscere, contrapposta all’intuizione della durata, che è continuo divenire e imprevedibilità, si avvicina alla concezione nietzschiana della “morale” che ha “il compito di farci sopportare il divenire della vita”49.

“Anche per Bergson, come per Nietzsche, le grandi forme della vita sociale e spirituale, come forme ‘chiuse’ e ‘statiche’, hanno innanzitutto il compito di difendere dal divenire e di dominarlo. E anche per Bergson, come per Nietzsche, il riconoscimento della configurazione autentica del divenire esige un tipo di umanità diversa da quella comune: esige l’‘eroe’, il ‘santo’, il ‘mistico’, che al di là di ogni istanza pratica si immergono nel divenire concreto della realtà”50.

Il collegamento possibile tra Bergson e l’idealismo tedesco è nell’affermazione “dell’unità di soggetto e oggetto” e nella “critica all’intelletto astratto e separante […] Ciò che veramente esiste non sono le cose – cioè gli elementi separati -, ma il movimento, cioè i processi, le relazioni dinamiche tra gli elementi che si presentano quando si analizza la continuità fluida del divenire”51. Anche il concetto di durata di Bergson può essere interpretato come spirito “giacché solo nello spirito e nella coscienza può esservi durata”52. La dialettica fichtiana tra un Io come sforzo a cui è contrapposto l’urto del Non-io, che porta al manifestarsi della realtà come fenomeno, può poi essere avvicinata alla concezione del divenire di Bergson come “uno sforzo, uno “slancio in cui la creatività originaria è limitata in se stessa. Lo slancio tende cioè ad arrestarsi e a ricadere su se stesso; e appunto in questo ricadere – in cui l’unità originariamente creativa si divide in una molteplicità di elementi – consiste per Bergson la materia53.

Tutti i riferimenti al pensiero filosofico contemporaneo sopra esposti possono essere rintracciati, come abbiamo evidenziato, già nelle primissime dichiarazioni del fondatore del Futurismo e in molti degli scritti prodotti incessantemente dai vari rappresentanti del movimento. È evidente quanto ci sia, a volte, di confuso e contraddittorio, tuttavia non si può pretendere di trovare in un movimento artistico l’espressione di un pensiero filosofico univoco e sempre coerente, essendoci una distanza incolmabile tra le esigenze di costruzione di un sistema di pensiero speculativo e quelle di formazione di un movimento artistico, in un clima come quello delle avanguardie in cui si incontrano le più diverse tendenze, tutte tese nella ricerca di un nuovo modo di espressione che superi il passato accademismo. L’arte non è filosofia (fortunatamente diremmo noi!) e proprio per questo mira essenzialmente alla creazione di immagini la cui interpretazione va ben oltre il pensiero filosofico.

Prima di inoltrarci nell’individuazione alcuni dei suddetti influssi filosofici nelle opere d’arte e nelle teorizzazioni più puntualmente a esse riferite prodotte dal movimento, ci sembra necessario accennare a un’altra influenza che, coinvolgendo un folto gruppo di artisti, tocca anche, come ha evidenziato I. Schiaffini nel suo lavoro su Boccioni, l’ambiente futurista. Si tratta della diffusione tra fine Ottocento e inizi Novecento di dottrine teosofiche che, sotto la spinta della Società teosofica fondata a New York nel 1875 da Melena Blavatsky, si diffuse anche in Europa coinvolgendo il mondo artistico e culturale del tempo. I testi di Charles Leadbeater e Annie Besant dei primi anni del Novecento “si fondavano proprio sulla capacità dei sensitivi di percepire stati d’animo e intenzioni psicologiche mediante l’interpretazione simbolica di forme e colori nell’aura delle persone”54. Importante in Europa fu anche l’apporto di Rudolf Steiner che ebbe contatti certi con Kandinskij e altri artisti e formulò l’idea di unità spirito-materia, fondando nel 1913 l’Antroposofia nella quale viene conferito ruolo centrale alla creatività artistica; “le teorie di Steiner, della Blavatsky e della Besant furono di grande impatto, ad esempio, per la nascita dell’astrazione di Vasilj Kandinskij, Oiet Mondrian e Kazimir Malevič”55. Per quel che riguarda Marinetti, probabili contatti con correnti teosofiche avvennero nel periodo parigino, mentre per Boccioni non sono documentati contatti diretti, ma nei suoi scritti si trovano spesso allusioni a capacità sensitive superiori attribuibili agli artisti già nella Conferenza di Roma e poi nel testo del 1914 Pittura e scultura futuriste. L’interesse per l’occultismo e per fenomeni paranormali era abbastanza intenso nel mondo intellettuale milanese negli anni di nascita e sviluppo de Futurismo e certo è l’interesse verso l’occultismo di Russolo, che ebbe un rapporto profondo e intenso con Boccioni, e di Romolo Romani, per poco tempo membro del Futurismo. Diverso fu l’atteggiamento di Balla, spirito scientifico del gruppo, il suo interesse per l’esoterismo fu “più vicino all’alchimia, al pari di Duchamp, più attento a scoprire l’infinito attraverso l’indagine dell’infinitamente piccolo, nelle pieghe sottili del reale, piuttosto che sprofondare nell’infinitamente grande e nell’inconoscibile”56.

Nella diffusione dell’interesse verso teorie teosofiche ed esoteriche, verso mondi misteriosi e “altri”, possiamo forse leggere il tentativo di cercare una spiegazione all’esistenza di quel “sesto senso” proprio degli artisti attraverso il quale essi riescono a percepire-intuire qualcosa di più profondo nella realtà che li circonda. Alla luce delle più recenti ricerche sulla psiche possiamo forse affermare che il loro era un tentativo di spiegare l’esistenza di una profonda sensibilità nell’artista che lo porta a vedere, o sarebbe più esatto dire “sentire”, le dimensioni più interne dell’essere umano. Dimensione che in realtà è, o dovrebbe essere, propria di ogni individuo, ma che nell’artista si conserva non corrotta, mentre negli individui cosiddetti “normali” si assopisce nella banalità del quotidiano o si perde del tutto in una dimensione di anaffettività verso i propri simili.

L’aspetto a nostro avviso più innovativo della “poetica” futurista, non individuabile nel pensiero filosofico contemporaneo, è in ogni caso l’esaltazione mitica della macchina, prodotto per eccellenza dell’era moderna, espressione preminente del dinamismo, della velocità, in cui trova perfetta espressione il rifiuto futurista del passato. L’accelerazione è vista come qualcosa che riduce gli spazi materiali e temporali, “un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia57. Questo nuovo mito è “la proposta di una nuova dimensione dell’uomo, non più naturale ma “artificiale”. Essa implica una rivalsa dell’azione sulla contemplazione, dell’estemporaneità sulla riflessione”58. Una simile esaltazione della modernità insita nella società industriale può essere trovata forse soltanto nell’ideale del progresso del realismo socialista russo. Pensiamo ad esempio al cinema di Eisenstein dove l’ingranaggio industriale diventa “bello”, sinonimo stesso dell’ideale rivoluzionario59. Sarà, tuttavia, proprio la sottomissione dell’arte agli ideali della rivoluzione a spegnere e deviare uno dei momenti di ricerca artistica più avanzata nella Russia degli anni venti. Dopo la morte di Lenin si tornò infatti a una ripresa del realismo ottocentesco: “il libero dibattito slittava sempre più sul terreno politico, la critica estetica o ideologica finiva col trasformarsi in un giudizio di fedeltà o di tradimento nei confronti della rivoluzione”60.

La filosofia delle immagini

“In realtà, la vita è un movimento, la materialità è il movimento inverso, e ciascuno di questi due movimenti è semplice, giacché la materia che forma un mondo è un flusso indiviso, e indivisa è pure la vita che la attraversa”61.

Il rapporto con Bergson è forse il più pregnante nell’analisi della produzione artistica del Futurismo e in particolare nelle opere e nelle teorizzazioni di Umberto Boccioni che in Fondamento plastico della pittura e scultura futuriste, pubblicato su Lacerba il 15 marzo del 1913, cita esplicitamente Bergson, del quale conosce Matière e mémoire e Évolution créatrice. Boccioni fa sua l’idea dell’arbitrarietà della divisione della materia in corpi indipendenti dai contorni determinati e del concepire il movimento come un passaggio da uno stato di quiete all’altro.

“Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eterna come tale.

Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente”62.

Queste poche righe tratte dal Manifesto tecnico della pittura futurista - del quale sono firmatari tutti e cinque rappresentanti del Futurismo pittorico, ma che si sa essere stato ideato e probabilmente scritto da Boccioni, il maggior teorico del gruppo - evidenziano con chiarezza non un vago riferimento alla filosofia di Bergson, ma una sua certa conoscenza. Il dinamismo, tema centrale della figuratività futurista, è anche il suo maggior contributo al rinnovamento dell’arte del periodo.

Il problema della riproducibilità del continuo movimento del reale in pittura inizia a porsi esplicitamente con l’Impressionismo. Con le sue tematiche legate al fermento della vita cittadina o all’ininterrotto fluire della natura, l’Impressionismo si era posto l’obiettivo di introdurre nella rappresentazione pittorica la vita stessa. In realtà, limitandosi alla riproduzione di una visione puramente ottica, riuscirà forse soltanto a isolare un frammento del movimento, riuscirà a darci un’“istantanea” del mondo, non la profonda rappresentazione della continuità del movimento stesso. Nella Conferenza di Roma del 29 maggio 1911 Boccioni definisce gli impressionisti “temperamenti scientifici”, “veri iniziatori del grande distacco dal passato”, grandi innovatori dunque. Tuttavia la loro ricerca fu parziale: “Tentarono è vero di cantare i nuovi aspetti della vita contemporanea, ma preoccupati della ricerca di nuovi mezzi, il loro canto si fermò alla superficie. …scambiarono l’apparenza per la realtà, invece di vedere la luce come idea assoluta la… sottoposero alla relatività dell’ora e del momento che fugge.”63.

Il grande merito degli impressionisti sta, per Boccioni, nell’aver portato nel quadro la “vibrazione atmosferica”, una nuova visione della natura. Non sono tuttavia riusciti a penetrare profondamente nella verità delle cose che consiste, per Boccioni, nel loro dinamismo interiore. Tanto è vero che l’apprezzamento di Boccioni nei confronti dell’Impressionismo è legato soprattutto al problema della luce, affrontato e risolto, tuttavia, dagli impressionisti sottoponendolo “alla relatività dell’ora e del momento che fugge”.

Passando ad analizzare un’altra corrente artistica per la quale è possibile parlare di tentativo di rappresentazione del movimento, e cioè il Cubismo, sappiamo quanto esso superi la pura visione per introdurre in pittura, come è stato da molti affermato, la dimensione del tempo.

Prima del loro viaggio a Parigi, nell’autunno del 1911, su sollecitazione di Gino Severini, gli artisti futuristi vengono probabilmente a conoscenza delle opere del Cubismo, grazie ad articoli e riproduzioni su riviste, ma anche grazie ai rapporti con Severini, nella cui opera sono presto evidenti gli influssi del movimento francese, e che molto insiste perché i suoi amici si rechino nella grande città dell’arte proprio per rendersi personalmente conto di quel che di più aggiornato a suo avviso si andava producendo. Sappiamo quanto sarà importante e conflittuale il rapporto tra Futurismo e Cubismo - per scambi verosimilmente reciproci - ma nella Conferenza di Roma Boccioni sembra non avere ancora un’idea ben precisa del movimento. Cita Picasso, insieme a Matisse, tra quelli che “nell’ansia, certo sincera, di costruire, hanno imitati i primitivi grotteschi e pregiotteschi, i disegni dell’uomo delle caverne e dei selvaggi, tutto ciò insomma che v’è al mondo d’ingenuo e di rudimentale”64.

Al di là di questa iniziale, e forse superficiale, sottovalutazione, è innegabile che neanche il Cubismo, almeno nella sua prima fase, precedente allo stesso contatto con il Futurismo, si avvicina alla possibilità di cogliere e rappresentare il movimento nel suo farsi. Nelle Demoiselles d’Avignon, dipinto del 1907 che segna la data di nascita del Cubismo, i nudi così come lo spazio in cui sono immersi, vengono frantumati e ricomposti in nuove immagini non più realistiche, ma ancor più reali nel rendere il tempo del vissuto dell’artista stesso, un suo modo di esperire la realtà che non è più soltanto visivo, un modo che fa dell’immagine un mezzo per esprimere un’idea più complessa della realtà stessa: l’oggetto viene restituito attraverso una forma che contiene in sé il passaggio di tale vissuto che, ovviamente, implica il movimento nel quale è racchiusa la dimensione del tempo. Anche in questo caso tuttavia non è il movimento stesso ad essere rappresentato, bensì la sua sintesi come immagine mentale.

Le relazioni e gli scambi reciproci fra Futurismo e Cubismo hanno dato adito a varie polemiche65 ed è vero che “il Cubismo con cui i nostri vengono in contatto è quello “minore” e laterale di Delaunay, Léger, Metzinger, Gleizes, d’altronde più congeniale alla loro partenza, perché policromo e molto legato agli aspetti aneddotici delle scene urbane. Più incerta e lenta invece l’assimilazione delle versioni ‘maggiori’, vale a dire più interne e mentali di Picasso e Braque, verso cui d’altronde si rivolgerà la polemica dei nostri”66. Al di là dei primati, è certo che i futuristi, e in particolare Boccioni, hanno una maggiore capacità teorica rispetto ai due grandi cubisti ed elaborano, attraverso i tanti manifesti e scritti teorici, delle teorizzazioni più puntuali di quanto il teorico del Cubismo, Guillaume Apollinaire, andava facendo.

Ma è soprattutto nelle opere che appare chiara la volontà di rappresentazione del movimento nel suo intrinseco sviluppo.

“Su questa premessa, Boccioni e gli altri artisti tornano di continuo, allargando il concetto con nuove formulazioni, le quali trasformano profondamente i tradizionali principi della rappresentazione […] era da rivedere del tutto, infatti, sia il concetto di rappresentazione che quello di visione. […] il movimento insito in ogni realtà, costituisce un nuovo modo di vedere e pone per la rappresentazione problemi mai esistiti, che bisogna risolvere”67.

Lo stesso concetto di linea viene definitivamente stravolto: la linea non ha più il significato di limite, di contorno di un oggetto o di una qualsiasi forma, e non è neanche la linea dell’Astrattismo di Kandinskij, né tanto meno quella di Mondrian, “diviene nella teorica futurista soltanto l’indicazione delle direzioni che le forme-colore assumono nell’opera rispetto ai due movimenti combinati degli oggetti”68, quello della costruzione stessa dell’oggetto e quello del suo dinamismo. Siamo al concetto ben noto di linee-forza formulato da Boccioni e presente in tutta la sua produzione dal 1911 in forma più o meno esplicita.

I riferimenti filosofico-scientifici che possono essere visti come supporto del concetto di linea-forza sono molteplici. Il termine appare in Bergson in Matière e Mémoire:

“Componete l’universo con degli atomi: in ciascuno di essi si fanno sentire, in qualità e quantità variabili secondo la distanza, le azioni esercitate da tutti gli atomi della materia. Lo componente con dei centri di forza? Le linee forza emesse in tutte le direzioni da tutti i centri dirigono su ogni centragli influssi dell’intero mondo materiale69.

L’idea di realtà come campo nel quale agiscono differenti forze trova corrispondenza nelle evoluzioni scientifiche di fine Ottocento e inizi Novecento, a partire dal concetto di campo, introdotto da Faraday, che sostituisce l’idea di uno spazio vuoto in cui agiscono particelle di matrice laplaciana, con quella di uno spazio pieno, un continuo campo di forze elettriche e magnetiche. Particolarmente incisive sembrano essere le affermazioni teoriche di Boccioni “volte a sopprimere la nozione di uno spazio inerte e vuoto, rispettoso delle distanze estrinsecamente misurabili. A ciò si sostituisce invece l’idea di uno spazio “collassato” (…) tale cioè che i vari nuclei si attirano, si accostano, si scontrano”70.

Maxwell, approfondì le ricerche di Faraday e identificò la luce come insieme di particelle elettromagnetiche. Si arriverà poi a formulare il concetto di elettromagnetismo nel suo duplice aspetto corpuscolare e ondulatorio ed è suggestivo correlare questo concetto all’idea di un pittura fatta di vibrazioni luminose che, pur prendendo le mosse dal divisionismo di Previati, viene più volte ribadita da Boccioni e forse mai abbandonata nelle sue opere, a cominciare da quelle di chiara ispirazione previatiana, ma ancora presente nelle ultime.

Con Eistein si arriva alla formulazione della teoria della relatività, che sostenendo la costanza della velocità della luce, portò a concepire la simultaneità degli eventi come relativa all’osservatore.

“La successiva analisi di Eistein mostrò che la relatività del concetto di simultaneità comporta la relatività rispetto all’osservatore anche dei concetti di lunghezza e di intervallo temporale. […] Poiché le nozioni di lunghezza e di tempo sono fondamentali per qualsiasi considerazione scientifica di qualsiasi evento naturale, il quale non può mai essere collocato fuori dello spazio e del tempo, la teoria di Eistein comportava una radicale modificazione dell’intera fisica e dava l’avvio a una nuova fisica relativistica che, lasciati cadere i concetti assoluti di spazio e di tempo, considerava gli eventi fisici rispetto a spazi e tempi relativi all’osservatore”71.

Sappiamo quanto le ricerche di Eistein abbiano influenzato e rivoluzionato non soltanto l’arte, ma tutta la cultura novecentesca proprio per l’introduzione dell’idea di relatività di spazio e tempo. Torniamo all’affermazione di Marinetti del primo manifesto – “il Tempo e lo Spazio morirono ieri!” – e a tutti i riferimenti all’impossibilità di pensare alla realtà come statica e invariabile o allo loro idea di porre lo spettatore al centro del quadro, non più soggetto passivo ed estraneo alla rappresentazione, bensì partecipe al farsi della stessa immagine. Anche in questo caso colpisce poi che i Futuristi parlino di simultaneità come uno degli aspetti fondanti della loro arte.

L’esaltazione della scienza è, come abbiamo detto, presente già dal primo Manifesto dei pittori futuristi:

“Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato…”72.

Va sottolineata tuttavia una distanza della concezione e delle realizzazioni artistiche di Boccioni dalla posizione di Balla che, come abbiamo accennato, è forse il più legato sia ai progressi scientifici che agli sviluppi che questi ultimi andavano producendo nella tecnica. Boccioni stesso condannerà le ricerche fotodinamiche di Balla per il loro aspetto analitico più che sintetico, nonostante venisse proclamato nel Manifesto tecnico della pittura futurista che per “la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti, e i loro movimenti sono triangolari”73. Queste parole sembrano esprimere esattamente proprio quello che farà Balla, basti pensare a Bambina che corre sul balcone, a Dinamismo di un cane al guinzaglio o a La mano del violinista del 1912. Tanto che è stato supposto che il brano citato fosse dovuto proprio a un intervento di Balla. Boccioni dal canto suo mirerà sempre a una versione più psicologico-emotiva del futurismo, egli stesso parlerà di trascendentalismo fisico mettendo in evidenza il carattere non strettamente scientifico della sua ispirazione.

Paradossalmente Boccioni, che preconizzerà un’arte totalmente astratta, in cui “le opere pittoriche saranno vorticose composizioni musicali di enormi gas colorati”74, non arriverà mai alla totale astrazione, fatta eccezione per le composizioni sul dinamismo del 1913, mentre Balla, partendo da una maggiore esigenza di obiettività e dunque di scientificità, arriverà all’Astrattismo. Tendenze all’astrazione sono in realtà già presenti in Balla sin da Lampada ad arco (1909 o1911) in cui i triangoli luminosi della scomposizione della luce preludono già agli studi sull’iride delle Compenetrazioni iridescenti del 1912. Come afferma Fagiolo dell’Arco, l’astrazione per Balla vuol dire “muovere dalla realtà, per indagare lo scheletro e la struttura implicita”; è spinto verso l’astrazione da uno spirito scientifico; la sua è una sorta di astrazione per estrazione.

In Boccioni la scientificità è sempre declinata a diretto contatto con un’esigenza più psicologica ed è per questo che il riferimento più prossimo è a Bergson che, pur con un’impostazione scientifica, tenta di demolire proprio la pretesa obiettività di una scienza portata alla comprensione dei meccanismi che sono alla base dell’esistenza umana.

Afferma Bergson:

“…la dimensione, la forma, persino il colore degli oggetti esterni si modificano a seconda che il mio corpo si avvicini o si allontani da essi, … la forza degli odori, l’intensità dei suoni, aumentano o diminuiscono con la distanza, … Essi dunque rinviano al mio corpo, come farebbe uno specchio, la sua eventuale influenza… Gli oggetti che circondano il mio corpo riflettono l’azione possibile del mio corpo su di essi…”75.

Queste parole riecheggiano il brano ormai classico del Manifesto tecnico della pittura futurista: “I nostri corpi entrano nei divani su cui sediamo, e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra nelle case, le quali alla loro volta si scaraventano sul tram e con esse si amalgamano”76. Ma il richiamo alla forza degli odori e dei suoni rinvia direttamente agli sviluppi che ha avuto il Futurismo in tutti i campi dell’esperienza, basti pensare al manifesto di C. Carrà intitolato proprio La pittura dei suoni, rumori, odori del 1913 o alle sperimentazioni sul rumore di L. Russolo.

Russolo, egli stesso musicista, oppone all’armonia e alla composizione strumentale del passato rumori ripresi dal quotidiano mescolati disordinatamente e ottenuti con mezzi assolutamente improvvisati; i rumori di una fabbrica in piena attività vengono paragonati alla sinfonia di una grande orchestra. Russolo inventerà nel 1913, dopo la pubblicazione del manifesto L’arte dei rumori, gli intonarumori e nel 1924 il rumorarmonio, un sistema di amplificazione degli effetti musicali creati dagli intonarumori. Con questi strumenti realizzerà veri e propri spettacoli che provocheranno, in linea con le tante manifestazioni futuriste, violente reazioni del pubblico, con fischi e lancio di ortaggi!

Il Futurismo, nonostante un iniziale interesse di Marinetti per Wagner nel periodo parigino, sembra essere più interessato ai rumori che alla musica poiché anch’essi vengono visti come elementi tipici della società moderna, come il suono dell’incessante lavorio del progresso: dal rumore delle fabbriche a quello dei mezzi di trasporto che invadono l’ambiente delle nuove città.

L’interesse di Russolo per la musica è presente in alcune sue opere pittoriche. In La musica del 1911 il riferimento è manifesto già dal titolo. Qui linee e colori sembrano sorgere dalle mani stesse del pianista, probabilmente Beethoven, o ancor meglio dalla sua testa, centro di partenza dei cerchi concentrici e della raggiera di onde e del loro propagarsi nell’atmosfera come vibrazioni sonore che coinvolgono il pubblico circostante; con la fascia blu a sinusoide che si diffonde nel dipinto ampliandosi fino ad uscire dallo spazio della tela, come per propagarsi nell’ambiente reale circostante come onda sonora77.

Il legame pittura-musica è vivo in questi anni nelle idee e nelle realizzazioni di molti pittori europei, basti pensare alla produzione di Kandinskij, nella quale già dai titoli dei dipinti è esplicito un riferimento diretto, o a dipinti come Tasti di pianoforte Lago di F. Kupka del 1909, vicino all’opera di Russolo, in cui i tasti del pianoforte si riverberano sull’acqua del lago, appena increspata da onde circolari, e tutt’intorno nel paesaggio.

Nel dipinto La musica di Russolo è visibile il rinvio al corpo, come farebbe uno specchio dell’influenza dell’ambiente circostante, in cui gli oggetti riflettono l’azione possibile del corpo su di essi, e la simultaneità, oltre che la compenetrazione, dell’esperienza del suonatore con quella degli spettatori.

Il collegamento tra musica e immagine pittorica è presente, come evidenzia Nigro Covre anche nella serie di Boccioni Stati d’animo “in cui la forma del trittico, mantenuta nel passaggio dalla prima alla seconda edizione, riflette la concezione sinfonica del dipinto organizzato in ‘tempi’ distinti, e tuttavia collegati in una struttura unitaria” 78, e musicale è senz’altro la sensazione suscitata dalla vibrazione delle strie colorate, soprattutto nella prima edizione della serie.

L’idea di musicalità della vibrazione riprodotta attraverso il colore, presente in gran parte della produzione bocconiana - e in fondo non interrotta dal contatto con il Cubismo e ancora riscontrabile, seppure con modalità diverse nel 1913-14 - può essere fatta risalire, come abbiamo accennato, al Divisionismo di Gaetano Previati, grande maestro di Boccioni, da lui considerato nella conferenza La pittura Futurista, tenutasi nel Circolo Artistico Internazionale di Roma il 29 maggio 1911, “il primo veramente che tenti esprimere per mezzo della luce in sé una emozione nuova all’infuori della convenzionale riproduzione delle forme e dei colori[…] Con lui le forme cominciano a parlare come la musica, i corpi aspirano a farsi atmosfera, spirito e il soggetto è già pronto a trasformarsi in istato d’animo”79.

In Mano del violinista di G. Balla del 1912, opera che riecheggia la sua personale passione per il violino, l’accento è posto, più che sul dinamismo della musica, sulle sequenze del movimento della mano e del braccio dello strumento. La sua attenzione va alla “vibrazione tutta fisica dello strumento”80. D’altronde gli interessi di Balla intorno a questa data, come abbiamo accennato, sono indirizzati all’analisi tecnico-scientifica del movimento nei suoi diversi stadi e agli effetti di scomposizione della luce e del colore, ricerca evidente sin da Lampada ad arco del 1909. Noto è il suo interesse per la fotografia e per le sperimentazione di Étienne-Jules Marey, conosciuto nel suo primo viaggio a Parigi, interesse rafforzato dal rapporto con Anton Giulio Bragaglia. Egli è meno coinvolto nei problemi legati alla rappresentazione di stati interiori traducibili in termini di musicalità.

Per quanto riguarda Gino Severini manifesto è il suo interesse per la danza, più che per la musica in senso stretto, facilmente deducibile dai soggetti di molte sue opere. In La danza del Pan Pan al Monico del 1910-12, come in altro opere successive sullo stesso tema, la rappresentazione evoca l’atmosfera dei locali alla moda di Parigi, frequentati da Severini grande ballerino, con un’accentuazione del dinamismo tipicamente futurista, ma forse lontana dall’idea di vibrazione musicale riscontrabile nelle opere suddette. In Severini “il principio dinamico è assunto nel suo valore strettamente ottico e percettivo; egli è il più prossimo, tra i futuristi, alle acrobazie del linguaggio cubista”81. Il suo sguardo va al ritmo dinamico e alla luce che spezzetta la materialità dei corpi. Il contatto diretto con l’ambiente culturale e artistico parigino lo porta a un accostamento più radicale rispetto agli altri futuristi al Cubismo da cui riprenderà svariati suggerimenti82. L’interpretazione che Severini propone di Bergson è legata all’idea della percezione che suscita l’attività della memoria stimolata, ad esempio, dai cartelli visti in corsa nelle stazioni del metro parigino che “agiscono sia sulla memoria attraverso i loro significati letterali sia, nello stesso tempo, sugli occhi tramite i loro colori83 (citiamo a titolo di esempio Nord Sud del 1912). D’altro canto la formazione di Severini è legata più al Neoimpressionismo francese che al Divisionismo italiano ed è dal Divisionismo che deriva l’uso della pennellata a striature che evoca vibrazioni emotive.

Il rapporto tra le due arti è un problema che investe molti artisti del periodo, basti pensare a Kandinskij e alla sua ammirazione per Wagner e poi per Schönberg; o anche a tutto il fenomeno del wagnerismo in Francia e alla successiva riscoperta di Bach. Ed è “centrale anche nella poetica futurista, e non soltanto per gli aspetti più esteriori e appariscenti […] È lo stesso interesse per la dimensione del tempo e per il dinamismo, nonché la tendenza a una invasione integrale dell’ambiente a condurre i futuristi verso la musica, o, piuttosto, il ‘rumore’, dopo aver abolito ogni riferimento all’armonia tradizionale e il concetto stesso di armonia”84.

Nigro Covre cita una figura poco nota del panorama artistico-culturale di quegli anni, quella di Ricciotto Canuto, italiano che un aneddoto vuole abbia fatto a piedi un viaggio dall’Italia fino a Parigi, poliedrico ed eccentrico intellettuale che si occupa anche di musica e ha contatti “con ambienti teosofici: nei suoi scritti è diffusa l’idea di una corrispondenza tra l’evoluzione religiosa e quella della cultura musicale. Nel saggio La musica come religione dell’avvenire (1911) egli sostiene che la musica realizza l’astrazione, liberandosi dalla realtà, ossia dal rumore (siamo dunque agli antipodi dei manifesti futuristi) e diviene pura costruzione dello spirito; realizza il movimento, in quanto concilia il ritmo dello spazio e del tempo ed è espressione dell’energia cosmica nel senso espresso da Nietzsche, del vitalismo nel senso espresso da Bergson, dello spazio-tempo nel senso espresso da Eistein; infine, nella musica l’umanità del futuro troverà la nuova identità, troverà ciò che nei tempi antichi trovava nella danza e nella preghiera. Sono particolarmente da sottolineare questi riferimenti filosofici, dove tra l’altro è evidente che nell’ambiente francese il nome di Eistein è già noto a questa data, e interpretato all’interno di un atteggiamento filosofico-religioso che consente di considerarlo tra gli stimoli all’idea di “quarta dimensione”85.

Il problema della quarta dimensione ci riporta alle dottrine teosofiche il cui interesse può essere rilevato, oltre che nell’utilizzo del concetto stesso di vibrazione, al quale fa riferimento più volte Boccioni, anche in tutti i riferimenti presenti nei testi che alludono a un ipotetico “sesto senso” e a una “ipersensibilità futurista”: “quel sesto senso che la scienza si sforza ancora invano di catalogare e definire. Esso è in noi già formato”86; o ancora “Chi può credere ancora all’opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici?”87.

Ma al di là delle affermazioni teoriche, riferimenti esoterici possono essere letti in alcuni stilemi presenti nelle opere futuriste. L’onda sonora che si sviluppa dalle mani del pianista nel suddetto dipinto di Russolo, oltre a indicare l’andamento dell’onda sonora, può essere interpretato simbolicamente come “ascensionalismo spiritualistico, mentre altre allusioni alla cultura esoterica sono state rintracciate nelle combinazioni di colori primari e nei ritmi geometrizzanti”; anche l’alone di cerchi concentrici luminosi che appare dietro la testa del pianista, appare come una sorta di emanazione del pensiero e riporta al concetto di “aura” di matrice teosofica88. Rimandi all’occultismo e alla teosofia erano presenti nell’atmosfera culturale e artistica europea del tempo e l’interesse era diffuso, come abbiamo visto, anche in ambienti culturali italiani.

In tutte le opere citate, nelle quali è presente il tema della musica, si evidenzia un altro dato fondamentale del futurismo: la tendenza alla sinestesia. Non si tratta infatti di rappresentazioni metaforiche del linguaggio musicale, bensì della ricerca di stimolazioni plurisensoriali, attraverso elementi specificamente pittorici. Anche questo aspetto può essere riferito al pensiero di Bergson secondo il quale la percezione non è mai frammentata e coinvolge tutto l’individuo, tutto lo spettro delle sue potenzialità sensoriali che a loro volta attivano il suo bagaglio di memorie in uno scambio continuo nel quale, nel vissuto reale, non è possibile se non arbitrariamente isolare alcun elemento.

Boccioni parla in realtà di un “sesto senso” presente negli artisti futuristi:

“Chi dice che noi percepiamo con i cinque sensi ripete una vecchia menzogna: i nostri sensi si sono moltiplicati come i nostri pori, si sono compenetrati l’un l’altro in modo che colui che parla di pittura, musica, poesia, architettura, come di cose disgiunte è un rancido ripetitore di vecchie e rancide formule scolastiche. Noi futuristi abbiamo superato tutto ciò e già intuiamo i millenni futuri”89.

Boccioni, come abbiamo accennato, a proposito delle potenzialità dell’artista, spinge i suoi riferimenti verso suggestioni occultiste ipotizzando la presenza di “fluidi di potenza, di antipatia, d’amore”90 emanati dai corpi e il risveglio di “qualche senso meraviglioso… alla luce della nostra coscienza”91. Abbiamo già azzardato l’ipotesi che, dietro l’affermazione dell’esistenza di “qualche fluido meraviglioso”, si può tentare di scoprire l’intuizione dell’esistenza di una potenzialità dell’artista che, grazie a una maggiore sensibilità, afferra e vede qualcosa che gli altri non vedono.

Quando Bergson afferma che gli oggetti, la loro forma, il loro colore, si modificano a seconda del soggetto che li percepisce, rinviando continuamente al corpo del soggetto stesso “come farebbe uno specchio” e riflettendo la sua azione su di essi, sembra parlare direttamente di alcuni dipinti di Boccioni del 1911, come La strada entra nella casa o Visioni simultanee, dipinto per il quale viene apertamente usato il termine “simultanee”. Le due opere sono state eseguite probabilmente dopo il primo viaggio a Parigi, tra ottobre e novembre del 1911, o comunque quando già Boccioni aveva avuto contatti con il Cubismo tramite riproduzioni apparse su riviste e notizie su mostre, per cui in esse è già visibile una certa tendenza alla scomposizione dei volumi propria del Cubismo e un riferimento al tema della finestra di Robert Delaunay. Tuttavia in Delaunay l’enfasi è posta sulla città moderna con i suoi simboli, ad esempio sull’ascensionalismo nella Tour Eiffel del 1911, mentre in Boccioni prevale il senso di attrazione della strada in senso discendente tanto che la figura femminile sembra essere risucchiata dal movimento della strada stessa, dai suoi rumori e odori. C’è dunque una vera e propria immersione del soggetto nella realtà o anche un avvolgimento dello stesso in essa.

In Visioni simultanee il doppio volto, visto di profilo e frontalmente, non rappresenta, come avrebbe potuto essere in un’impostazione cubista, due momenti successivi o due diverse prospettive, ma il profilo della figura che si protende all’esterno e la visione frontale dello stesso volto visto da uno spettatore posto all’interno del dipinto, sospeso tra finestra e strada. In questo aspetto si realizza l’idea, proclamata nel Manifesto tecnico della pittura futurista, di porre “lo spettatore nel centro del quadro”92. Concezione, ancora una volta bergsoniana, che presuppone un coinvolgimento immediato e totale dell’osservatore nell’esperienza vissuta della visione del dipinto, in un tempo che è quello della durata nella quale percezione e memoria si fondono.

Tuttavia i due dipinti potrebbero anche portare a un’interpretazione in chiave fichtiana. La realtà fenomenica in cui viene proiettata la figura umana può anche apparire come creazione del suo stesso Io, e il grande dinamismo che sconvolge tutta la scena può essere visto come il momento dello scontro tra io e Non-Io e del suo superamento nella sintesi. In particolare in Visioni simultanee, il volto che appare come proiettato nel fenomenico, sulle facciate dei palazzi, sembra proprio alludere al fatto che la realtà è l’Io stesso, sua creazione: un Non-io che ha la stessa identica fisionomia che nel dipinto assume l’Io. L’interpretazione appare piuttosto ardita, ma non del tutto priva di fondamento.

Allo stesso modo potremmo tuttavia, interpretare il dipinto in chiave psicologica, o anche, psichiatrica: il mondo visto dal soggetto affacciato alla finestra può essere visto come una sua proiezione o come una sorta di allucinazione. In particolare Visioni simultanee potrebbe far pensare, proprio per la presenza dello stesso volto come sdoppiato, a un momento di dissociazione dell’io.

E chiaro che impostazioni di pensiero diverse portano a differenti interpretazioni, anche se la più calzante e vicina alla stessa poetica futurista sembra essere quella che porta a leggere la composizione in chiave bergsoniana.

Con la prima versione degli Stati d’animo93 del 1911 si realizza la fusione tra il concetto di vibrazione divisionista, quello di simultaneità e quello di linee-forza. Le striature di colore, che abbiamo già legato all’espressione della musicalità, appaiono come vibrazioni degli stati d’animo legati alle situazioni vissute, con andamento diverso che esprime, appunto, la direzione delle linee-forza associate ai particolari stati d’animo: verticali per Quelli che restano, ondulate e oblique per Gli addii, orizzontali e convulse per Quelli che vanno. Anche l’idea di vibrazione è prettamente bergsoniana, infatti il termine ricorre frequentemente negli scritti del filosofo francese. Nell’analisi della percezione, in Matière e Mémoire, egli afferma che l’ambiente circostante agisce sull’individuo attraverso vibrazioni che attivano la memoria individuale e che, fuse con essa, fanno il vissuto reale della percezione. È vero che il concetto di vibrazione viene fatto risalire da Boccioni al divisionismo di Previati, ma il richiamo a Bergson è, come abbiamo detto, evidente.

Le opere del 1912 Materia e Volumi orizzontali, a volte viste come espressione di un momento di crisi di Boccioni per l’apparente staticità, sono al contrario una profonda riflessione sulla trasformazione della materia in energia, sulla trasparenza del corpo nella luce, sulla plasticità dell’atmosfera che attraversa il corpo anch’essa come energia. Soggetto dei due dipinti è la figura della madre nella cui coscienza sembrano comporsi luce ed energia interiori ed esteriori. La figura femminile, posta davanti alla ringhiera di un balcone, volge le spalle a edifici i cui profili si riflettono su di lei come pure vibrazioni luminose. Le sue mani intrecciate e protese verso lo spettatore, gigantesche e quasi come distorte da un obiettivo fotografico grandangolare, condensano tutta la sua energia materiale e psichica. L’immagine sembra essere una proiezione inconscia dell’artista che vede nella figura della madre una sorta di simbolo cosmico (è qui concentrata in un’immagine tutta la complessità del rapporto di Boccioni con la madre). Accanto a lei appaiono figure che alludono ad altri dipinti di Boccioni: il cavallo, a sinistra, presente in molti suoi dipinti, a cominciare da La città che sale del 1910, emblema dell’energia e della forza vitale, e figure umane in movimento, a destra, che preludono agli studi scultorei sul dinamismo del corpo umano e che porteranno a Forme uniche della continuità nello spazio e ai dipinti del 1913.

I due dipinti possono essere considerati la trasposizione pittorica di una concezione filosofica molto affine al pensiero di Bergson: la materia di tutti gli elementi, sia quella pesantemente fisica, seppur trasparente, della madre, sia quella più vaporosa degli edifici e dell’ambiente in cui la figura è immersa, è percepita nel suo fondersi alla memoria; il tempo è quello della durata dell’esperienza vissuta, nella quale piani esteriori e interiori, volumi, luci e colori si compenetrano, così come si pongono simultaneamente diversi momenti dell’esperienza stessa; la forza, sia quella umana sia quella che trasuda dagli oggetti inanimati, sembra esprimersi tutta perfettamente nell’energia del bergsoniano élan vital. Lo stesso titolo; Materia, allude forse all’opera di Bergson.

È come se in queste opere Boccioni mettesse a frutto tutte le sue ricerche, dal colore diviso di radice previatiana alla scomposizione cubista, dalla rappresentazione della simultaneità all’idea di compenetrazione dinamica degli elementi e oltre, fondendole in una sorta di trattato filosofico per immagini che tuttavia non ha nulla di metafisico: tutto è qui fortemente fisico e quasi trasposto in chiave tattile sembra essere il pensiero stesso dell’artista.

Anche in queste realizzazioni, con una certa audacia, è forse possibile individuare quell’idea di urto tra Io e Non-io della sintesi fichtiana, che attraverso l’immaginazione produttiva inconscia produce la realtà fenomenica, in un superamento della dicotomia soggetto-oggetto che era da sempre il problema irrisolto del pensiero filosofico.

Nelle opere di Boccioni la realtà rappresentata nel dipinto sembra essere emanazione dell’Io dell’artista, della sua immaginazione produttiva, stimolata dall’urto di un mondo fenomenico che sembra essere a sua volta creazione dell’Io dello stesso artista. Tanto è vero che è impossibile distinguere chiaramente quanto nella rappresentazione sia realtà oggettiva e quanto sia invece pensiero, vissuto dell’artista.

Sotto questo aspetto in realtà gli stimoli possono essere molteplici, non ultimo è il riferimento alla teoria tedesca dell’Einfühlung. Un’eco di tale teoria è rintracciabile in numerosi brani di Boccioni:

“Occorre che la sensazione suggerisca al pittore degli stati di colore, degli stati di forma, in modo che le forme e i colori esprimano in sé, senza ricorrere alla rappresentazione formale degli oggetti.

Occorre che questi oggetti dettino attraverso l’emozione il ritmo di segni e di gamme astratte che saranno la nuova forma e il nuovo colore e parleranno all’occhio come la musica all’udito94.

È proprio affrontando la teoria dell’ Einfühlung che Boccioni si avvicina all’ipotesi di un’arte astratta alla quale in realtà non giungerà mai pienamente. Certo, è senza dubbio più calzante l’interpretazione bergsoniana di esperienza vissuta in un tempo e in uno spazio fusi nella soggettività della durata. D’altro canto il termine, “simultaneità” appare esplicitamente nel titolo di numerose opere futuriste a cominciare da Luce+velocità+rumore. Interpretazione simultanea di G. Saverini del 1913 o dal citato Visioni simultanee di Boccioni.

Sul tema della simultaneità si sviluppa la polemica tra Apollinaire e Boccioni a proposito dell’orfismo e di Delaunay, nella quale Apollinaire attribuisce in un primo momento proprio a quest’ultimo la precedenza sulla rappresentazione della simultaneità, per rivedere poi le proprie posizioni e riconoscere la derivazione del termine dai futuristi95. Al di là dei giudizi critici di Apollinaire, non sempre imparziali e oggettivamente motivati96, è chiaro che il problema circolava nell’atmosfera delle avanguardie artistiche europee ed era considerato di notevole interesse.

Ma termini che riecheggiano il pensiero bergsoniano sono anche i ricorrenti riferimenti, sia nei contenuti della rappresentazione che nei titoli, alla velocità, al dinamismo, alle compenetrazioni. Lo stesso concetto di linee-forza viene palesemente ripreso, come abbiamo detto, da Bergson97.

L’opera di Boccioni ad esse più palesemente ispirata al concetto di linee-forza è Forme uniche della continuità nello spazio del 1911, ma anche nelle opere più lontane dal naturalismo come Dinamismo di un corpo umano o Costruzione spiralica, o ancora Dinamismo plastico+cavallo+caseggiato del 1913, insieme alla compenetrazione dei piani appare chiaramente il concetto di dinamismo boccioniano nel quale ogni oggetto della rappresentazione viene sviluppato nelle sue linee dinamiche.

Anche in Balla è chiaro il riferimento alle linee-forza, nel dipinto Il pugno di Boccioni del 1915 e in tutte le sue opere intorno al 1913 in cui viene sviluppata la dinamica della velocità, nella quale le linee-forza divengono le direttrici evidenti del movimento. Ma in queste opere le direttrici delle linee-forza tendono a essere traduzione di direttrici di movimento, linee che scompongono l’oggetto nelle diverse traiettorie, fino ad arrivare alla totale scomparsa dell’oggetto stesso. In Boccioni le linee-forza sembrano portare con sé una materia viva, più plastica.

“Quando parliamo di movimento non è una preoccupazione cinematografica che ci guida, né una sciocca gara con l’istantanea, né la puerile curiosità di osservare e fissare la traiettoria che un oggetto percorre spostandosi da un punto A a un punto B. Noi vogliamo al contrario avvicinarci alla sensazione pura, creare cioè la forma nell’intuizione plastica, creare la durata dell’apparizione, cioè vivere l’oggetto nel suo manifestarsi”98.

L’idea di linee-forza è riscontrabile anche in molti artisti europei legati in modi diversi al Futurismo (fig. 10, 11) ed è una delle idee portanti del movimento italiano essendo quella che meglio si fonde alla rappresentazione del movimento e della velocità, fulcro della tematica futurista. Pensiamo a Foresta verde e gialla della Gonchatova del 1912, a Destini di animali di Marc del 1913, o anche a Ritorno in trincea di Nevinson del 1914-1915 o a Morte simultanea di un viaggiatore in aereo e in treno di Malevič del 1913, ma gli esempi potrebbero essere molti altri. Componente fondamentale della rappresentazione nel Futurismo, il concetto di linee-forza è riscontrabile sin dalle prime opere futuriste, da La città che sale di Boccioni del 1910 ai Funerali dell’anarchico Galli di Carrà del 1911 e a La rivolta di Russolo del 1911-1912.

In occasione della mostra futurista di Parigi, nel febbraio del 1912, nella prefazione al catalogo Boccioni, auspicando che la nuova arte metta lo spettatore al centro del quadro dirà:

“Se dipingiamo le fasi di una sommossa, la folla irta di pugni e i rumorosi assalti della cavalleria si traducono in fasci di linee che corrispondono a tutte le forze in conflitto secondo le leggi di violenza generale del quadro. Queste linee-forza devono avviluppare e trascinare lo spettatore, che sarà in qualche modo obbligato a lottare anche egli coi personaggi del quadro”99.

Il concetto era già stato espresso nella teoria dell’Einfülung di Theodor Lipps e ripreso da Henri van de Velde, per il quale, grazie alle linee-forza che esprimono le direttrici dell’energia interna dell’oggetto della rappresentazione, “la linea diventa… uno strumento per estrarre dall’oggetto alcune direttrici squisitamente formali e dinamiche, in grado di originare le diverse forme della realtà”100. Ma la concezione sembra essere qui troppo formale: le linee-forza teorizzate da Boccioni presuppongono il coinvolgimento emotivo del soggetto, non essendo semplicemente rintracciabili nell’oggetto di per sé; l’impostazione ci sembra più vicina all’idea bergsoniana di percezione nella quale è sempre coinvolto emotivamente il soggetto percipiente. La stessa Schiaffini pone l’accento su questa diversa impostazione sottolineando che c’è nel concetto futurista di linee-forza una “identificazione fusionale dell’artista con la realtà” e che esse “assumono… per i futuristi una connotazione più esplicitamente emotiva e sentimentale”101. Ancora la Schiaffini ipotizza che l’idea sia stata formulata pienamente dopo il rapporto dei futuristi con la cultura parigina. A Parigi tra 1910 e 1911 era presente van de Velde, ma certamente a Parigi in quegli anni doveva anche essere fortemente sentita la presenza del pensiero di Bergson. Presenza che comunque era avvertita, come abbiamo detto, precedentemente anche in Italia e nell’ambiente futurista, se Boccioni riporta nella prefazione al catalogo per la mostra di Parigi una parte della Conferenza di Roma nella quale affermava: “Noi dobbiamo appunto disegnare queste linee-forze per ricondurre l’opera d’arte alla vera pittura. Noi interpretiamo la natura dando sulla tela queste linee come i principi o prolungamenti dei ritmi che gli oggetti imprimono alla nostra sensibilità”102. Queste parole sembrano riferirsi con molta chiarezza alla teoria della percezione elaborata da Bergson secondo la quale “le vibrazioni che il nostro corpo riceve dai corpi circostanti determinano senza posa, nella sua sostanza, delle reazioni nascenti”103.

Nel tema delle linee-forza è implicito il problema della linea. Nella prima versione degli Stati d’animo Boccioni, come abbiamo detto, conserva la pennellata divisionista nelle striature che fanno la dinamica dello stato d’animo rappresentato. La linea-colore aveva in realtà ascendenze espressioniste: già presente in Van Gogh, il primo e forse anche il più incisivo nel suo uso carico di emotività, si svilupperà poi in Munch con il quale sono stati sottolineati i rapporti di Boccioni, evidenti nel dipinto Il lutto del 1910. Le striature, tuttavia, divengono nella prima versione degli Stati d’animo vere e proprie linee indipendenti, non più colore delle forme di figure e ambiente. Calvesi propone un punto di tangenza tra Boccioni e Kandinskij proprio su questa maniera di trattare la linea, che si fa più evidente nei bozzetti per Quelli che vanno. Qui la linea assume una funzione “tra simbolica e astratto-rappresentativa” trovando “un riscontro con le Improvvisazioni e Impressioni di Kandinsky […] una linea che non è più disegno ma ‘segno’”104. In realtà quest’uso della linea in Boccioni non arriverà mai all’astrazione. Cenni di astrazione si avranno con le opere del 1913, nelle quali si sviluppa il tema del dinamismo, già citate.

Al di là del rapporto complesso tra i due artisti105 i punti di contatto tra le poetiche di Boccioni e Kandinskij sono vari e, a ben vedere, profondi: dalla comune matrice nel Simbolismo alla teoria dell’Einfühlung e ai contatti con le correnti teosofiche che circolavano nell’Europa del tempo; anche se gli sviluppi saranno radicalmente diversi: Boccioni, pur auspicando per la pittura un abbandono totale dell’oggetto, non arriverà mai, come abbiamo detto, alla totale astrazione come farà Kandinskij, anche se non possiamo sapere, data la sua prematura morte nel 1916, quali sarebbero stati gli sviluppi della sua arte, e possiamo anche ipotizzare una ricerca in tal senso, data l’insistenza con la quale nei suoi tanti scritti parla di aspirazione alla realizzazione di un’arte non oggettuale.

Numerose e diversificate sono le influenze o i riferimenti, più o meno espliciti, al clima culturale che circolava negli ambienti artistici europei in quegli anni e probabilmente alcuni temi si sovrappongono creando comunque l’idea di interessi comuni, di domande e ricerche di vari artisti per molti aspetti vicine. La ricerca fondamentale di tutta l’arte contemporanea è indirizzata verso la creazione di un mondo soggettivo che è rappresentazione di una immagine interna dell’artista, del suo vissuto interiore, e non più imitazione di una realtà oggettiva.

Afferma Calvesi:

“Fino a Kant all’incirca, dandosi per pacifico che il mondo esterno fosse un a priori e la conoscenza e coscienza di esso un a posteriori, l’arte, strumento di tale conoscenza, non poteva che porsi un fine di imitazione rispetto al modello. Messe in dubbio, o addirittura ribaltate, queste priorità, essa parve il vero punto mediano nel quale questi dati, mondo e coscienza, potevano incontrarsi: ecco la concezione in Delacroix, dell’arte come ponte tra l’interno e l’esterno. La forma non fu più, allora, una scorza mimetica delle apparenze, ma una proiezione spirituale. Si ebbe una Forma con la maiuscola: per Gauguin e i simbolisti la Forma fu simbolo, espressione empatetica di uno stato d’animo collegato, come da un ponte appunto, al dato naturale. Per Cézanne, e poi per Matisse, per i cubisti e gli astratti la Forma fu soprattutto un’entità autonoma, ideale, espressione di un’armonia parallela all’armonia della natura e indipendente da essa106.

Calzante è a questo riguardo l’affermazione di Picasso:

“Si parla del naturalismo opponendolo all’arte moderna. Ma si è mai vista un’opera d’arte «naturale»?

La natura e l’arte sono due fenomeni assolutamente dissimili.107

Il Futurismo si inserisce a pieno titolo in questa ricerca, avviando l’arte italiana verso un rinnovamento che, come ben evidenziano lo stesso Calvesi e molti altri critici, avrà influenze non soltanto nelle elaborazioni artistiche europee contemporanee, lascerà infatti anche un’eredità importante per tutti gli sviluppi futuri, contenendone in nuce le premesse.

Possiamo forse dire che, con l’arte contemporanea, dalle Avanguardie in poi, non è stata più soltanto la filosofia a porsi il compito di dare un’interpretare del mondo e dell’individuo, al suo fianco e forse davanti a lei ha trovato posto l’arte stessa.

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Molti riferimenti presenti nel testo sono tratti dalle lezioni tenute dalla Prof.ssa I. Nigro Covre sul tema Il futurismo e l’Europa nel Corso di Storia dell’Arte Contemporanea dell’anno accademico 2006-2007

Note

1 Goethe, Faust, Einaudi, Torino, 1979, p.38

2 L. V. Masini, L’Arte del Novecento, Giunti Gruppo Editoriale Espresso, Milano 2003, p. 308

3 F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo in M. De Micheli, Le Avanguardie Artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1984, p. 368 e seg.

4 M. De Micheli, op. cit. p. 240

5 F. T. Marinetti, in M. De Micheli, op. cit. p. 370

6 M. Calvesi, Le due avanguardie, Laterza, Milano 2004, p.131

7 M. De Micheli, op.cit. p.251

8 Sarebbe più proprio parlare di filosofia dell’azione per il francese Maurice Blondel che nel 1893 pubblica la sua opera fondamentale con il titolo L’action. Secondo Blondel è nell’azione, prima che nel pensiero, che l’uomo realizza la sua identità. Tale impostazione potrebbe essere avvicinata al Futurismo, tuttavia le implicazioni trascendentali del pensiero di Blondel lo allontanano radicalmente da esso.

9 W. James, Pragmatismo, in Il Testo Filosofico, AA.VV. p.974

10 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1999, p.34

11 F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1999, p. 204

12 In Nietzsche il concetto di volontà è ereditato da Schopenhauer, con la profonda differenza che per Schopenhauer la volontà era comune a uomo e natura, costituita essenzialmente dalla volontà di sopraffazione, che portava alla distruzione e che quindi andava superata nell’ascesi e nella rinuncia alla vita, nell’annullamento totale della stessa volontà.

13 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia, Milano 1985, p. 127

14 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 1999, p. 44

15 F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo in De Micheli op. cit. p. 373

16P. Hulten, Futurismo e Futurismi, Bompiani 1986, p. 477

17 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1999, p. 68

18 G. Castelfranco e J. Recupero, Il Futurismo, De Luca editore, Roma 1959, p. 41

19 Pensiamo ovviamente a Gauguin, al “periodo negro” di Picasso e all’espressionismo, ma ancor prima a Rimbaud.

20 U. Boccioni, La pittura futurista, in I. Schiaffini, op. cit. p. 160

21 Ibidem, p. 161

22 Ibidem, p. 165

23 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano, 1999, p. 70

24 F. T. Marinetti, Manifesto del partito politico futurista, in M. De Micheli, op. cit. p.238

25 F. Nietzsche, op.cit. p.69

26 U. Boccioni, La pittura futurista, in I. Schiaffini, Umberto Boccioni, Silvana Editore, Milano 2002, p. 162

27 F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1999, p. 89

28 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit. p. 45. Il riferimento a questo passo dello Zarathustra è esplicitamente presente già nel nome nel gruppo Die Brücke, fondato a Dresda nel 1905, gruppo espressionista lontano dal Futurismo, almeno nelle premesse teoriche.

29 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1989, p. 57

30 P. Hulten, op. cit. p.477

31 AA.VV., Il Testo Filosofico, Mondadori, 1993, vol. 3/1, p. 79

32 Ibidem

33 AA.VV., Il testo filosofico, op. cit. p. 80

34 M. Fagiolo dell’Arco, presentazione a Balla, I classici dell’arte Rizzoli-Skira, Milano 2004, p. 9

35 E. Severino, La filosofia contemporanea, Rizzoli, Milano 1999, p. 160

36 Autore particolarmente amato da Mussolini.

37 L. V. Masini, L’Arte del Novecento, vol. 2, Giunti – Gruppo editoriale L’Espresso, Milano 2003, p.306

38 Sorel frequenta le lezioni di Bergson ed è suo estimatore: molti sono i riferimenti a Bergson nella sua opera.

39 F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, in M. De Micheli, op. cit. p. 370

40 M. Calvesi, op. cit., pp. 157-158

41 F. T. Marinetti, Supplemento al Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912, in M. Calvesi, op. cit. p. 155

42 In M. Calvesi, op. cit. p. 154

43 in L. Venturi, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino 1964, pp. 313-314

44 A. Hauser, Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino1987, p. 228

45 V. Magrelli, Profilo del dada, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 25

46 H. Béhar, in V. Magrelli, op.cit. p. 25

47 H. Bergson, Evoluzione creatrice, in AA. VV. Il Testo Filosofico, op. cit. p. 948. La negatività nella concezione della materia propria del pensiero di Bergson, verrà superata nel Futurismo nella concezione della materia come energia suffragata dalle ricerche scientifiche.

48 E. Severino, op. cit. p. 129

49 E. Severino, op. cit. p. 133

50 E. Severino, op. cit. p. 138

51 E. Severino, op. cit. p. 139

52 Ibidem

53 E. Severino, op. cit. p. 137

54 I. Schiaffini, Umberto Boccioni. Stati d’animo, Silvana Editoriale, Milano 2002, p. 43

55 I. Schiaffini, op. cit. p.44

56 I. Nigro Covre, Astrattismo,Federico Motta Editore, Milano2005, p.224

57 F. T. Marinetti, op. cit. p. 370

58 M. Calvesi, op. cit. p. 158

59 Si veda il film “Ottobre” di Eisenstein

60 M. De Micheli, op. cit. p. 282

61 H. Bergson, Evoluzione creatrice, in AA.VV., op. cit. p.947

62 U. Boccioni e altri, La pittura futurista: Manifesto tecnico, in M. De Micheli, op. cit. p. 376

63 U. Boccioni, La pittura futurista, Conferenza di Roma del 29 maggio 1911, in I. Schiaffini, op. cit. p. 165

64 Op. Cit., p. 165. Il nome di Picasso appare soltanto nella seconda redazione della Conferenza di Roma. Nella prima redazione il testo era il seguente: “…i nuovi e post-impressionisti che fanno capo a Matisse a Van Gogh, Gauguin, Denis”. Nella seconda redazione viene così modificato: “…i nuovi e post-impressionisti che, attraverso Cézanne Van Gogh e Gauguin, Denis fanno capo a Matisse Picasso e altri”. Sembra esserci stato, tra le due redazioni, un primo approfondimento della conoscenza dell’arte francese, poiché la seconda appare più puntuale.

65 Calvesi riporta abbastanza dettagliatamente i termini della polemica nata tra Apollinaire e Boccioni, a proposito dell’orfismo: il primo attribuiva il primato dell’idea di simultaneità a Delaunay, ma essa idea, insieme a quella del complementarismo, erano concetti portanti della poetica futurista, esplicitati già nei primissimi scritti.

Vedi M. Calvesi, op. cit. pp.132 e seg.

66 R. Barilli, L’arte contemporanea, Feltrinelli, Milano 2005, p. 130

67 G. Castelfranco, J. Recupero, Il Futurismo, De Luca editore, Roma 1959, p. 44

68 Op. cit., p. 46

69 H. Bergson, Matière e Mémoire, in I grandi filosofi, Il Sole 24 ore, Milano 2006, p.367

70 R. Barilli, op. cit. p. 126

71 AA.VV. Il testo filosofico, op. cit. p. 740

72 In M. De Micheli, op. cit. p. 373-374

73 in Mario De Micheli, op. cit. p. 376-377

74 U. Boccioni, Conferenza di Roma, in I. Schiaffini, op. cit., p. 168

75 H. Bergson, Materia e Memoria, in I grandi filosofi, Il sole 24 ore, Milano 2007, p. 354

76 U. Boccioni e altri, La pittura futurista: Manifesto tecnico, in De Micheli, op. cit. p. 377

77 I. Nigro Covre, Astrattismo, Federico Motta Editore, 2005, p. 113

78 Ibidem

79 I. Schiaffini, op. cit. p. 84 Il riconoscimento dell’importanza di Previati sarà sempre vivo in Boccioni: artista citato nel Manifesto dei pittori futuristi, e in un articolo del 1916 scritto da Boccioni su “Gli Avvenimenti”. La Schiaffini dedica il primi capitolo del suo scritto su Boccioni alla figura di Previati. V. op. cit. pp.11 e seg.

80 I. Nigro Covre, op. cit. p.117

81 M. Calvesi op. cit. p. 51

82 Dalle lettere stampigliate inserite nei dipinti alla maniera di Gris, cioè come parole intere, al collage, con inserimento di vere paillettes, prendendo spunto probabilmente sempre da Gris e dal suo frammento di specchio inserito nell’opera Il lavabo.

83 G. Severini, Catalogo della personale di Londra dell’aprile 1913, da appunti delle lezioni Il Futurismo e l’Europa di I. N. Covre, a.a. 2006/2007.

84 I. Nigro Covre, Astrattismo, Federico Motta Editore, Milano 2005, p.112

85 I. Nigro Covre, op. cit. p. 113

86 U. Boccioni, La Pittura futurista. Conferenza di Roma, in op. cit. p. 167

87 Manifesto tecnico della pittura futurista, in M. De Micheli, op. cit. p. 377

88 Per i rapporti tra arte del Primo Novecento e correnti esoterico-teosofiche v. I. Nigro Covre, op. cit.

89 U. Boccioni, Conferenza di Roma del 1911, in I. Schiaffini, op. cit. p. 88. Come afferma la Schiaffini il riferimento di Boccioni è qui a L’uomo moltiplicato e il regno della macchina di Martinetti in cui sono presenti riferimenti a Nietzsche e Schopenhauer in una esaltazione del vitalismo legato alle filosofie dell’azione.

90 Ibidem

91 U. Boccioni, Conferenza di Roma del 1911, in I. Schiaffini, op. cit. p. 89

92 U. Boccioni e altri, La pittura futurista: manifesto tecnico, in M. De Micheli, op. cit. p.377

93 Nella seconda versione degli Stati d’animo, dopo il contatto con il Cubismo, sembra apparire una maggiore oggettività, anche se è ancora presente la rappresentazione delle vibrazioni nelle strie colorate.

94 U. Boccioni, Conferenza di Roma del 1911, in I. Schiaffini, op. cit. p. 87

95 vedi nota 56

96 Per una visione chiara della polemica si rinvia a M. Calvesi, Le due Avanguardie, Laterza, Milano2004, pp. 132 e seg.

97 vedi n.64

98 U. Boccioni, in Boccioni, I classici dell’arte, Rizzoli Skira-Corriere della Sera, Milano 2004, p. 142

99 Prefazione al catalogo della mostra di Parigi, in I. Schiaffini, Umberto Boccioni, Silvana Editoriale, Milano 2002, p. 94

100 Ibidem

101 Ibidem

102 In I. Schiaffini, op. cit. p. 95

103 H. Bergson, op. cit. p. 526

104 M. Calvesi, op.cit. p.151

105 Boccioni ammira Kandinsky e legge Dello spirituale nell’arte, mentre il secondo, nonostante gli apprezzamenti di Marc, sembra non interessarsi a Boccioni e attacca il Futurismo, forse anche per distinguersi radicalmente dal movimento italiano.

106 M. Calvesi, op. cit. p.24

107 P. Picasso, Scritti, ed. SE, Milano 1998, p. 20