domenica 14 febbraio 2010

Les Demoiselles d’Avignon e la nascita del Cubismo

Il termine “cubismo” nasce, forse da un suggerimento di Matisse, grazie a Vauxcelles che usa il termine per criticare nel 1909 i dipinti di Braque del 1908, nei cui paesaggi dell’Estaque egli vede dei cubi. In realtà per questi dipinti è più esatto usare il termine “protocubismo” poiché non è ancora presente la scomposizione per piani ribaltati sulla superficie della tela. Punto di partenza è Cézanne che in realtà, in particolare nei paesaggi di Saint-Victoire o dello Château-noir, del 1904-1906, era già più avanti: in essi la pennellata dà una consistenza plastica indipendente dagli elementi del paesaggio. Qualcosa di simile è presente nella Rue-des-Bois di Picasso del 1908. L’inizio della fase protocubista di Picasso si fa in genere risalire a Tre donne del 1907-1908, nel quale è ripreso il tema delle Bagnanti di Cézanne con maggiore solidificazione dei moduli stereometrici delle figure, ma anche dell’atmosfera, e riduzione del colore a due toni fondamentali, ocra e verde. In realtà il momento di svolta più radicale è segnato da Les Demoiselles d’Avignon del 1907. L’esperienza precedente di Picasso è segnata da un certo simbolismo ed espressionismo che caratterizzano il periodo blu, dal 1901 al 1905, e il periodo rosa, del 1905-1906. Momento di elaborazione che prepara la rivoluzione delle Demoiselles è il viaggio a Gósol, in Spagna, fatto con Fernande Olivier, nell’estate del 1906. Qui Picasso vede esempi di scultura della tradizione iberica che, insieme alle visite al Trocadero, museo etnografico parigino, e alla visione di fotografie di statuette africane, segnano l’interesse per il primitivo, che sta dietro l’elaborazione delle Demoiselles. In verità tale interesse è collocabile tra il 1905 e il 1906, quando inizia ad acquistare una serie di cartoline che ritraevano donne d’etnia Maliké e Bobo, realizzate dal fotografo Edmonde Fortier. Un esemplare di scultura africana era stato visto da Picasso probabilmente nello studio di Matisse. Questi stimoli, lo metteranno in contatto con quel carattere primitivo che è indubbiamente presente nel capolavoro del 1907. Tuttavia il viaggio a Gósol fatto con il primo vero grande amore della vita deve aver avuto un’importanza particolare per l’artista anche dal punto di vista strettamente personale. Partendo per la Spagna egli aveva lasciato incompiuto un ritratto di Gertrude Stein, letterata americana conosciuta poco prima a Parigi. Al ritorno dalla Spagna egli cancellerà il volto della donna sostituendolo con una figura che ha tutti i caratteri di una maschera. La stessa mutazione fisionomica avverrà per i volti delle figure centrali delle Demoiselles. La fisionomia di questi volti è presente anche nell’Autorportrait à la palette del 1906 che è, probabilmente anche un omaggio a Cézanne, morto il 23 ottobre dello stesso anno, due giorni prima del compleanno di Picasso stesso. Dipinto proprio in quel periodo, il quadro ricorda l’omonima tela del Maestro di Aix del 1890, per la maniera in cui è posta la tavolozza, quasi una protesi del braccio e per la camicia aperta e senza collo. È veramente molto complesso districare tutti gli influssi che hanno portato Picasso alla realizzazione del suo capolavoro del 1907. L’influenza di Cézanne è innegabile, ma non può essere isolata e slegata da tutti gli spunti che Picasso coglie intorno a sé o va a cercare in un passato lontanissimo. Quel che è certo è che nelle Demoiselles entra tutta la sua esperienza passata, per essere completamente rivoluzionata e fusa nell’invenzione di un linguaggio pittorico assolutamente nuovo. Nel 1907 Les Demoiselles d’Avignon sconvolgono la pittura del tempo, oltre ai molti amici e colleghi dell’artista, che non accolsero l’opera con reazioni del tutto positive, cosa che tra l’altro contrariò non poco Picasso, che appese il dipinto nel suo studio rivolto contro il muro. “Les Demoiselles d’Avignon è un dipinto straordinario, al punto che i suoi debiti nei riguardi di Cézanne e verso l’arte negro-africana, così come il suo ruolo di punto di partenza del Cubismo, sono sempre stati troppo insistiti, come se gli storici fossero stati tentati di ancorarvelo. È invece interessante osservare con quanta violenza il colore si scosti dai disegni che l’hanno preceduto, alcuni dei quali sembrano dei Cézanne addomesticati che non ci preparano in alcun modo a ciò che appare sulla tela, alla sua articolazione selvaggiamente lacerata. L’aggressiva mancanza di armonia va ben oltre la grandiosa sproporzione delle Bagnanti di Cézanne. Nel corso dell’applicazione su tela, la violenza dei nudi cresceva e le innovazioni aumentavano a mano a mano che l’opera procedeva (in tutto, probabilmente un periodo di circa sei mesi). Non vi era mai stato prima – e, potremmo aggiungere, non vi fu mai da allora – un dipinto che contenesse un tale complesso di torsioni interne, un volume trasformato in linea attorta e falciante. Intendiamo dire che quelle che qui chiamiamo torsioni non sono le sfaccettature cui solitamente ci riferiamo trattando del Cubismo (…). Les Demoiselles, infatti, non è un’opera raziocinativi in quest’accezione. È un dipinto incalzante e molto libero; libero nel senso che non dipende da decisioni già prese, di Picasso o di altri. (…) Il rilievo è abbandonato, il modellato è pressoché assente, fuorché sul lato destro, dov’è ottenuto con striature barbariche (…). Les Demoiselles è un dipinto tutto in superficie e tutto frontale (poche delle bagnanti di Cézanne guardano verso l’osservatore); è l’eredità dell’illusionismo occidentale che ci porta a leggerlo in termini prospettici. (…) Si tratta, infatti, di un’opera implosiva. Le molte cose che accadono vi rimangono chiuse. Ha, non di meno, un’organizzazione interna che recupera una libertà e un respiro dove la vitalità dell’episodio, esposto forse a uno sconvolgimento, sarebbe stata altrimenti soffocata. Vi sono molteplici zone o passaggi o linee che danno ariosità all’interno. Le zone contorte di questo dipinto a piena tela si collegano e vengono elise da strisce frantumate di bianco, larghe forse cinque centimetri, che negano l’importanza della linea definitrice di piani. I drappeggi hanno quasi sempre la stessa funzione, così come le linee bianche che tracciano il seno e il triangolo pelvico della seconda donna. (…). In nessun altra opera prima di questa Picasso si era data tanta pena per le ricerche e i bozzetti preliminari. Ma nessuna opera sarebbe poi stata così drasticamente modificata durante la realizzazione. Fra la carta e la tela c’era stato un balzo estetico…”. (T. Hilton, Picasso, Rusconi, Milano 1988, pp. 79-81) Il brano ci è sembrato interessante poiché, al di là degli stimoli che l’elaborazione del dipinto assorbe in sé - dall’arte di Cézanne al viaggio a Gósol, dall’arte africana arcaica alle radici dell’arte iberica - Timothy Hilton pone con decisione l’accento sulle grandi innovazioni in esso presenti che appaiono come il frutto di qualcosa di diverso dalla semplice rielaborazione di spunti e ricerche precedenti. È come se Picasso avesse scoperto, o meglio trovato come egli stesso amerà dire (“io non cerca, trovo”), un’immagine completamente nuova che certo non nega le esperienze precedenti, ma le trasforma totalmente. Sulle Demoiselles è leggibile qualche flebile traccia, se non altro reattiva, della visione da parte di Picasso del Bonheur de vivre di Matisse, esposto al Salon des Indépendents del 1906. Molte opere di questo primo periodo di contatto tra i due artisti possono essere messe in relazione in vario modo. Spesso la visione di un’opera di Matisse provoca in Picasso una reazione verso qualcosa di diametralmente opposto. Non c’è niente di più lontano dalla musicalità, dall’armonia e dal decorativismo del Bonheur de vivre della ferocia e dissonanza delle Demoiselles. Probabilmente, per comprendere il grande salto compiuto da Picasso tra l’inverno 1906 e la primavera del 1907, è necessario pensare a una trasformazione profonda della sua personalità avvenuta verosimilmente grazie ai molteplici stimoli precedenti e contemporanei, che trovano in quel particolare momento la loro sintesi e il loro stesso superamento. Per alcuni critici è un errore sovrapporre in modo troppo netto la vita privata di un artista alla sua opera. Crediamo, tuttavia, che un artista sia prima di tutto un uomo che vive, e spesso intensamente, e che la sua arte non possa non essere la sua vita. Non può esserci scissione tra i due aspetti: essere artista non è come essere medico o ingegnere, mestieri per i quali si può lasciare la propria vita fuori dalla porta. L’arte è un rischio e richiede un coinvolgimento totale e profondo della propria identità umana, pena un risultato freddo e sterile. Picasso dal 1904 è definitivamente a Parigi, dopo vari soggiorni iniziati nel 1900. La capitale europea dell’arte è un pozzo inesauribile di stimoli, lì incontra il suo primo grande amore, Fernande. Vive in quel mondo mitico, e molto mitizzato dalla letteratura, fatto di artisti che pullula nel quartiere di Montmartre dove si è stabilito, nel leggendario Bateau-Lavoir. La sua opera entra nel cosiddetto periodo rosa, al quale non è estraneo l’influsso dell’amore che lo allontana dalla tristezza del periodo blu e porta quella nota di delicatezza e ariosità che si respira nelle rappresentazioni di saltimbanchi e acrobati, e che si prolungherà fino al soggiorno a Gósol. Certamente il primo importante rapporto con una donna deve aver avuto una qualche importanza, non nel determinare la genialità dell’artista, che è una sua ricchezza personalissima e che pensiamo abbia radici ben più lontane, bensì forse nel dargli l’occasione di una regressione che lo porta a toccare qualcosa di molto profondo, fino alla possibilità di tagliare i ponti con un passato, ancora legato a un certo simbolismo, per tuffarsi in una dimensione completamente nuova. Il periodo trascorso con Fernande a Gósol viene da molti riconosciuto come fondamentale per gli sviluppi successivi. Come afferma Timothy Hilton “(…) la fase di Gósol fu in larga misura sperimentale (nel vero senso del termine: un’opera d’arte davvero compiuta, per quanto innovativa, non è mai sperimentale). Fatto insolito per Picasso, gran parte delle opere realizzate nel villaggio erano tentativi, semplici schizzi iniziati e poi accantonati, o in una fase intermedia e abbandonati.”. (T. Hilton, Picasso, cit.) Non c’è più nelle Demoiselles alcun ricordo di realismo, né quell’aura di romanticismo ancora fortemente presente nel periodo rosa. Cosa è avvenuto? Difficile dare una risposta certa, ma è indubitabile che con quest'opera l’artista arriva a qualcosa giudicato da tutti sconvolgente. Forse con quel dipinto Picasso racconta, dipingendo, la propria idea del rapporto con il diverso da sé. Lo sconvolgimento è provocato dalle potenti deformazioni, dalle citazioni di maschere presenti in quei volti di donna apparentemente disarmonici, ma soprattutto dalla scomposizione dei corpi e dello spazio in cui tali corpi sembrano incastonarsi, che darà vita di lì a poco al cubismo. In questa rivoluzionaria immagine prende vita un’idea del femminile che presuppone qualcosa di più che la semplice visione di un corpo nudo. Guardando con attenzione, in quelle cinque immagini si può ipotizzare, più che la presenza di cinque diverse figure, una sequenza di rappresentazioni di un’unica donna, più o meno mascherata. Come se quelle forme fossero la rappresentazione di momenti diversi del movimento di una donna nello svolgersi di un rapporto intensamente vissuto. Per rendersene conto è sufficiente fermare l’attenzione sulle due figure centrali, che mostrano pressoché lo stesso volto, somigliante al suddetto autoritratto, e posture classicamente seducenti molto simili. Le altre figure più scomposte e meno riconoscibili, nascondono il proprio volto - che potrebbe anche essere sempre lo stesso - dietro maschere, definite come tali anche da un colore diverso, più scuro e terroso, più africano. Forse quel volto è la rappresentazione della nuova immagine emersa nel rapporto con una donna Un uomo che affronta ora il rapporto con il diverso da sé con una forza e una creatività che lo portano a trasformare completamente le linee sinuose e morbide della figura femminile, in un corpo tagliato, smontato e ricreato, elaborato in una sorta di lotta corpo a corpo, perché l’immagine reale si trasformi nell’immagine femminile interiore dell’artista. L’immagine femminile nelle Demoiselles porta sulla propria pelle e in tutta la sua inverosimile anatomia le tracce della lotta, come segni della costrizione a una trasformazione interna profonda. Anche lo spazio all’interno del dipinto reca in sé le impronte di un luogo vissuto totalmente, come campo di battaglia di affetti intensi. Non è più lo spazio oggettivo della messa in quadro, guardato da un osservatore esterno ed estraneo, dal punto di vista unico della prospettiva classica. È l’immagine di uno spazio che è stato trasformato da un prepotente e intenso vissuto. Analizzando le singole figure vediamo che la figura di sinistra è colta mentre entra in una stanza, sollevando con la mano sinistra la tenda; la figura successiva, presa isolatamente in uno spazio diverso dal precedente, appare come una donna sdraiata vista dall’alto, in una posa emblematica di offerta; la donna al centro è invece chiaramente in piedi in un atteggiamento che fa pensare a una modella su una pedana; alla sua sinistra si affaccia un’altra figura che sembra esistere in uno spazio ancora diverso, in atteggiamento lievemente minaccioso e con il volto coperto da una terrificante maschera africana, come a ricordare che dietro l’aspetto attraente di una donna si nasconde spesso una sfida mortale. La figura accovacciata a destra è decisamente la più scomposta e la meno seducente, nel senso classico del termine, rappresentata in una visione dorsale e frontale insieme, con un volto che, a ben guardare, non è più semplicemente coperto da una maschera tribale. Mentre le due donne centrali hanno il volto scoperto e le due figure laterali, evidentemente, indossano una maschera, fatto evidenziato, come abbiamo detto, anche dal diverso colore rispetto all’incarnato del corpo, il volto della figura accovacciata sembra essere il risultato di una trasformazione ormai compiuta. É un volto di donna creato ex novo dalla mente dell’artista che non è più un volto reale, ma non è neanche la riproduzione letterale di una maschera. Inizia in questo volto quel genere di stravolgimento, che sarà poi presente nei tantissimi volti di donna rappresentati da Picasso. I due occhi sono asimmetrici, non in asse, mentre la parte inferiore del volto ruota verso destra rispetto a quella superiore. Il fatto che non si tratti semplicemente di una maschera, è confermato anche dal colore che non è qui né quello delle figure centrali, più chiaro, né quello bruno delle figure laterali, bensì un colore che si fa più rossiccio, forse per una maggiore irrorazione sanguigna determinata dal desiderio. L’importanza di questo volto è marcata anche dalla particolarissima posizione della mano che, ingigantita e deformata, più che sostenere un mento, sembra voler offrire questa nuova creazione all’osservatore. La discontinuità tra le figure è soltanto apparente poiché non di figure si tratta, ma di aspetti diversi di una stessa immagine femminile. Un tempo qualcuno ha suggerito che “una donna sono mille donne”, Picasso ci dice, in questo dipinto, che una donna è cinque donne. Colore, linea, formato del quadro - che all’inizio si presentava oblungo coerentemente con una rappresentazione più narrativa – danno coerenza e unità all’insieme, come linfa, sangue, sistema nervoso di un organismo vivente che ha la sua precisa unità e identità. La genialità del dipinto non sta dunque nel suo flagrante erotismo, quanto piuttosto nell’intensità con la quale riesce a raccontare qualcosa di irraccontabile con le parole. “Un quadro mi viene da molto lontano! Chissà da quale lontananza l’ho sentito, l’ho visto e l’ho dipinto, eppure il giorno dopo nemmeno io riconosco quanto ho fatto. È possibile penetrare nei miei sogni, nei miei istinti, nei miei desideri, nei miei pensieri che hanno impiegato tanto tempo per uscire alla luce? È possibile penetrare quanto vi ho messo di me stesso, forse contro la mia stessa volontà?”. (P. Picasso, L’arte astratta non esiste, serie di pensieri di Picasso presentata sui «Cahiers d’Art» n. 7 da C. Zervos, in P. Picasso. “Scritti”, p. 32) Il Cubismo, pur fondandosi sulle ricerche di questo periodo, nascerà nel 1908-1909, quando “l’operazione intellettuale sull’immagine prende le distanze dalla sensibilità” (I. Nigro Covre, Arte contemporanea. Le Avanguardie storiche, Carocci, Roma 2008). Effettivamente i dipinti cubisti di Picasso rappresentano la fase forse più intellettualistica e fredda e non è un caso che i soggetti di questo periodo sano prevalentemente paesaggi e nature morte, mentre meno frequenti sono le figure femminili che rappresentano il tema dominante di tutta l’opera di Picasso. Braque e Picasso, tra il 1907 e il 1910, portano alle estreme conseguenze la ricerca di Cézanne su una rappresentazione che fonde osservazione e astrazione mentale e arrivano alla completa scomposizione geometrizzante delle forme e al sovvertimento definitivo dello spazio prospettico rinascimentale. A un punto di vista unico si soituisce una visione policentrica, l’immagine risulta così costruita dall’accostamento di frammenti significativi delle cose e delle figure osservate che vengono rappresentate secondo una molteplicità di angolazioni. Non viene più rappresentata la sola realtà visiva del mondo, ma la sua rielaborazione avvenuta grazie a un vissuto totale dell’artista fatto di sensibilità, memoria e creatività. .